Come tutto cambia nella moderna sensibilità mitica e simbolica ! Nel “Compianto sul Cristo morto” della padovana Cappella degli scrovegni, ci sono pure le basi per la individuazione della “Dialettica delle passioni” terra-cielo ( “Il dolore che tocca il fondo della disperazione umana si eleva nella moralità più alta della rassegnazione e della speranza” ( Giulio Carlo Argan, “Storia dell’arte italiana”, Sansoni, 1968, II, p.17). Restiamo sulle tracce della “conoscenza” del cielo per gli antichi, ma della “risorsa etica” del celestiale nei moderni. Nella “Recherche du temps perdu”, Marcel Proust, innamorato di Venezia, parlando della “Fuggitiva” ( che è titolo editoriale per “Albertina scomparsa”, così ricco di significati per la Albertina Bassani storica e la Micòl Finzi-Contini lirica ), evoca: “C’erano poi giorni in cui a mia madre e a me non bastavano i musei e le chiese di Venezia; e così, un giorno che il tempo era particolarmente bello, per rivedere quei ‘Vizi’ e quelle ‘Virtù’ di cui Swann m’aveva dato le riproduzioni, ancora appese, probabilmente, nella stanza da studio della casa di Combray, noi ci spingemmo fino a Padova. Qui, dopo aver attraversato in pieno sole il giardino dell’Arena, entrai nella Cappella di Giotto, dove l’intera volta e gli sfondi degli affreschi sono così turchini da far credere che la radiosa giornata abbia,anch’essa, oltrepassato la soglia insieme al visitatore e sia venuta per un attimo a porre all’ombra e al fresco il suo cielo puro, solo un poco più profondo, perché libero delle dorature della luce, come in quelle brevi pause che interrompono le più belle giornate, quando, pur senza che sia comparsa nessuna nube, come se il sole un attimo avesse volto altrove il suo sguardo, l’azzurro, ancora più dolce, si oscura” (trad. it., Einaudi 1978, pp. 246-247). Qui Proust mirabilmente fonde, con intensità che forse manca a pur dotti critici d’arte o “scientisti delle scienze umane” ( bestia nera del proustiano d’elezione, il siciliano e cosmoplita Rosario Assunto), il fattore tempo comune alla psicologia della percezione; la smagliante teoresi di terra e cielo; il senso del cielo riportato all’ombra e al fresco della “volta”; la memoria del tempio del Santo, come dal greco “temno”, detto di “volta ritagliata” ( donde: “templum”); la profondità incommensurabile dell’azzurro; la sua simultanea “dolcezza”; ma, insieme, la inattesa “oscurità” della stessa, proprio là dove “l’azzurro è più dolce”. “Come se il sole un attimo avesse volto altrove il suo sguardo”. “Un attimo”, si badi; “per un attimo” e “come in quelle brevi pause”: dove s’insedia ancora il fattore temporale, partecipe della teoria della “percezione visiva” ( “Gestalttheorie”), quando noi oscilliamo nella percezione di viso e sfondo dei vasi proprio in base al “tempo” dedicato alla visione. Così, nella analisi seguente degli angeli che solcano il cielo, Proust sembra avvalorare l’assioma estetico di eredità ragghiantiana, ossia “L’arte tanto intuisce quanto prospetta”.
Giuseppe Brescia – Libera Università “G.B.Vico” – Andria
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