Giuseppe Brescia, filosofo della Libertà, di Michele Indellicato.

bresciaTorna alla mente la cara immagine di Ambrogio Giacomo Manno, generoso animatore dei Convegni beneventani del “Progresso del Mezzogiorno”, ai quali Giuseppe Brescia ( con Addante, Bosio, Regina, e chi scrive ) era annualmente invitato a partecipare, non di rado presiedendo le tornate delle varie Sessioni filosofiche.  Torna alla mente tutto ciò, con un moto di gratitudine ( sentimento raro nell’età della “ferocia” ), a proposito dell’ultima dase del pensiero dello stesso Giuseppe Brescia, che ( dopo essersi a lungo occupato di filologia e filosofia crociana, di Popper e filosofia della natura e epistemologia, di “Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva”, sistematica della “Teoria della tetrade” e altre tappe di ermeneutica filosofica, in rapporto a pietre miliari della filosofia e del pensiero poetante, da Pascal a Nietzsche, da Vico a Joyce e da Pico a Thomas Mann ), approndisce ed affronta il pensiero di Schelling ( Il vivente originario, Albatros, Milano 2013 ) e la sua “attualità” o “perennità” ( Tempo e Idee, Albatros, Milano 2015, entrambi i volumi con prefazione di Franco Bosio ) e il problema del “male” nella storia e nella filosofia ( I conti con il male. Ontologia e gnoseologia del male, G. Laterza, Bari 2015, pp. 440 ). L’autore afferma che il male ha consistenza oggettiva; è connesso con la libertà; realizza la quota di “vita non vissuta” che induce la “distruttività umana”, il thanatos, l’impulso di morte ( in linea con i risultati della sua precedente ricerca teoretica del 1984, Tempo e Libertà. Teorie e sistema della costruttività umana, edito da Piero Lacaita di Manduria ). Qui e ora, pone l’accento sul principio di “attività”, sull’opera di “qualificazione del negativo” , che si adempie nel giudizio, e che ritorna – alla fine di un complesso percorso – nel recupero del “giudizio”, nella “dolcezza” del “giudizio”, come risposta al male, come humanitas, come “il latte dell’umana gentilezza”.

Ma la “risposta al male” non può “eccedere”, a sua volta, in altro male: questo è un punto decisivo, da “filosofia della storia”,che l’ autore ha già trattato storicamente ne Il sogno di Castorp e il progetto di Pico ( G. Laterza, Bari 2003 ) e qui, ne I conti con il male, ritorna nel capitolo su Pico della Mirandola, Conclusiones nongentae e le “tappe di incubazione del male”.

Nelle sue Ipotesi su Pico (Bari 2011 ) e nella tesi circa le cadenze virtualmente “cabalistiche” del male nella storia, Brescia ammonisce che al 1792, anno della battaglia di Valmy ( “I°giorno di una nuova storia del mondo”, come disse Goethe ), inizio del trionfo giacobino, non si può rispondere – per es.- con il 1872, anno del cosiddetto Kulturkampf, battaglia culturale contro i cattolici di Guglielmo di Prussia; insomma, con una politica di “volontà di potenza”, e pangermanesimo, di segno opposto. L’autore ritiene che le altre tappe di incubazione del male nella storia, a partire dal 1480 ( data della presentazione dell’opera di Pico ), siano riconoscibili nei supplizi di Michele Serveto ( 1552 ), di Bruno e Campanella ( 1592), Galileo stesso (1632), e -sempre con carattere “figurale”- nel passaggio di Isaac Newton dalla Teoria dei colori al Trattato sull’Apocalisse ( 1672 ), nel fondamento dello Stato prussiano ( 1712: con il passaggio da Federico I Hohenzollern a Federico Guglielmo I) e suo consolidamento ( 1752: mantenendo Federico II Re di Prussia la Slesia contro le illusioni del Re di Francia che “si batté per il Re di Prussia ); a seguire nel 1832 ( profetica denuncia di Antonio Rosmini con Le cinque piaghe della Chiesa ), via via fino al 1944, “1984” e “1994”, altrettante cadenze di date epocali. Il carattere preparatorio o incoativo del male è mostrato per ciascuna delle tappe, e confermato emblematicamente nell’ultima (“1994”), data che secondo Pico avrebbe dovuto contrasegnare la “fine dei tempi” ( circostanza che, non essendosi verificata, ne dimostrerebbe l’aspetto “virtuale” di preannuncio e solerte vigilanza ). Continue sono le trasmigrazioni di idee, operanti nelle interpretazioni di autori affini o anche apparentemente distanti, in una serie di “percorsi”, di cui recuperiamo, come mappatura essenziale, nella Prima parte: La Loica nei Tarocchi detti del Mantegna, in Croce; Corpo e anima in Nicola Malebranche; il sottile recupero di Pascal in Voltaire e nel poema sul Disastro di Lisbona; Pierre Bayle e la critica dei Manichei; “Tutto è male” nello Zibaldone di Giacomo Leopardi; Schelling e la fenomenologia del male; il passaggio dal saggio di Immanuel Kant sulla “Religione entro i limiti della semplice ragione” alla “filosofia positiva” dello stesso Schelling; La affinità tra filosofia del mito e del monumento nello Schelling e in Ugo Foscolo; Dante in Foscolo e Schelling e l’estetica del paesaggio da Schelling all’Assunto; Apuleio che trascorre in Foscolo; i ricorsi della “religione della libertà dagli idealisti a Edgar Quinet a Croce; Nietzsche e la “astuzia del male; Nietzsche e le “mosche del mercato” e il conseguente “ritiro” dell’anima in “Così parlò Zaratustra”; Croce per Schopenhauer e De Sanctis con Leopardi, per le tematiche della “volontà di vivere” e della “vitalità”; Heidegger e Antoni; Martha Nussbaum e Hannah Arendt; Vasily Grossman e “Il Bene sia con voi” sino a Gustaw Herling.

Nella Seconda parte, denominata “Lotta contro i demoni”, segnalo: John Milton e l’orgoglio di Satana, “uomo eguale a Dio”; Christopher Marlowe, Wolfgang Goethe e la versione faustiana del primo versetto del Vangelo di San Giovanni; Thomas Mann in sé e persino in James Joyce; Joseph Conrad e il “Cuore di tenebra” fino ad “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola; Tolstoj e Dostoevskj, tra analogie e differenze; la “doppiezza” del male; “Una tragedia americana” di Theodor Dreyser; “L’urlo e il furore” di John Steibeck con la risposta della “umana pietà”; Orwell e Huxley; Franz Kafka e Anthony Burgess, fino alla tarda rivisitazione di “Arancia meccanica”; il percorso da Gustave Flaubert ad Albert Camus; “La tentazione di Sant’Antonio” da Hieronymus Bosch a Pieter Bruegel il Vecchio a Flaubert; Jean Paul Sartre e Albert Camus; David Herbert Lawrence e William Golding, con il suo Belzebù, “Il Signore delle mosche”; Eugenio Montale, coniatore de “Il male di vivere”, e Antonio Debenedetti, suo “derivatore”; la poesia del “Purgatorio” di Dante in Momigliano e Bassani; Gobetti e Bassani; Italo Calvino e le “Città invisibili”, con tutte le implicazioni a proposito si “Andria”, da Pascal fino all’ Einstein e la Azione a distanza.

Al di sotto di ogni percorso, si va ancora in profondità: quasi si ha la impressione che il Brescia voglia sfidare i limiti del raffrontabile e del conoscibile, rischiando a volte la densità. Ma alla base di ogni sondaggio e lavoro di scavo, c’è pur sempre la doppia “cifra” dei “modi categoriali”, sentimento – memoria – tempo, e successione – simultaneità – permanenza, che rimane la “cifra” su cui il filosofo si è formato, dai tempi degli studi sul “vitale” e sulle modalità del “passaggio tra le forme” negli studi giovanili su Croce. Tale complessa stratificazione di piani conferisce alla ricerca del Brescia ( come vedevano Padre Manno e Dario Fertilio, Addante o Vizzini ) tratti di genialità.

Per ciò, nella Parte terza, “Limiti alla bestia”, si affrontano in intensità le perle: la importanza della parola come “ristoro dai mali” e “retto giudizio” nella “Teogonia” di Esiodo; il “bilanciamento dei mali” in Esiodo; il travaglio degli uomini di fronte alla magnanimità degli dèi in Sofocle; Tucidide e la “modernità”; Polibio e la funzione della “Fortuna”; Apuleio, il “Demone di Socrate” e la relativa eco sino a Beniamin Constant; Gioacchino da Fiore in Dante e sino a Karol Woytila; Pico della Mirandola e la virtuale “fine dei tempi”; Shakespeare e la catarsi tragica dei capolavori; Giordano Bruno e la dialettica, fino a Jean Starobinski; Kant e le risorse della “ragione liquida”; Luigi Pareyson e la “Ontologia della libertà”; Luigi Sturzo e la “Teodicea”; il dotto Sergio Quinzio e la rilettura di Luca 18, nella parabola “La vedovella e il giudice iniquo”; la “salvezza dell’anima” negli aforismi filosofici, come nel raffronto tra l’ungherese Arthur Koestler e l’eretico “rosso” Alfonso Leonetti, a sua volta influenzato da Leone Trotsky; ancora, il “Purgatorio” di Dante vissuto nel carcere francese di Vernet dal Koestler e “Mario”, cioè Leo Valiani; il rapporto tra Orwell e Koestler, il diretto o indiretto “maestro”; Italo Mancini e la “filosofia della prassi”, come rappresentazione della “crisi del diritto” nella stagione della tarda modernità; l’ “imperatore del male” e gli studi sul cancro nella epistemologia della scienza medica; il recupero del vitale nel pensiero poetante e nella dottrina etica, da Antonio rosmini a Vincenzo Terenzio; il “demone di Bosch e il sorriso di Leonardo”; vitalità e tempo in Charles Baudelaire; e l’ inferno parigino negli occhi della ragazza “fulva” di Honoré de Balzac; e tanti altri “momenti” di rappresenrtazione del male, ancora. Su tutto domina, alla fine, il principio di “attività” spirituale, in cui si compendia la “libertà”: il male ‘vince’, in definitiva, quando in noi ‘vincono’ l’accidia, l’inerzia, il non essere più o il non essere ancora, ossia quei riferimenti negativi che, in sede logica o gnoseologica, è appunto il “giudizio”, chiamato a risolvere e dissolvere storicamewnte, ogni volta in modo “nuovo”. Ben per questo, La libertà è “eterna vigilanza”, ammoniva Karl Popper. Ma, alle fonti, per la salvaguardia della “persona” umana, resta sempre il Vangelo: “State svegli e vigilate!” Michele Indellicato

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