Alcuni andriesi finanziano un college in Madagascar mentre l’Unione Europea finanzia…l’ISIS?! Facciamoci un esame di coscienza

ospedale-africa-jpg8700 e rotti chilometri in quota tra le nuvole per raggiungere Antananarivo. Un viaggio lungo complessivamente 15 ore (in partenza dall’Italia), fatto di attese, cambi e controlli. L’arrivo all’aeroporto della capitale malgascia è di quelli che ti fanno capire subito in quale continente sei atterrato: uomini in divisa a controllare e uomini con pettorine gialle a imbrogliare.

Una ventina di chilometri per raggiungere la comunità in cui alloggeremo e le immagini che scorrono al di là dei finestrini sono forti. Di quelle che ti lasciano senza parole. Baraccopoli con fuochi accesi al loro ingresso; niente luce per le strade; puzze varie di discarica a cielo aperto si mischiano alla polvere che alzano le auto. Uomini che mangiano e dormono sul ciglio della strada.

Capisci subito che quel “Madagascar” prodotto dalla Dreamworks è soltanto un cartone animato. La realtà è un’altra.

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Un’isola due volte l’Italia con un’unica superstrada fatta, perlopiù, di dossi e cunette. 13 ore in macchina per percorrere 406 chilometri (da Antananarivo a Fianarantsoa). Un viaggio a prova di “physique du rôle”.

Nonostante le risorse minerarie (l’oro, i diamanti, il petrolio) e le bellezze di madre Natura (flora e fauna rigogliosa), l’80% della popolazione vive con meno di un euro al giorno.

Si vive nel caos economico, giuridico, politico, sociale, e soprattutto morale. Le aspettative di vita sono inesistenti. L’età media si aggira intorno ai 45 anni per gli uomini e 60 per le donne.

I politici guardano unicamente ai loro interessi personali. Le forze dell’ordine sono corrotte e ai posti di blocco chiedono non documenti ma soldi.

I diritti basilari, come la scuola e l’accesso alle cure mediche, non sono garantiti e si muore per malattie che qui in occidente sarebbero perfettamente curabili. A 12 anni le ragazzine vengono messe fuori di casa, devono arrangiarsi da sole e la strada più veloce è quella della prostituzione. Ragazze madri, o meglio, bambine madri è più corretto.

Le giornate scorrono tutte uguali in campagna, a coltivare riso o, alla meglio, a costruire mattoni per erigere baracche che alla prima folata di vento potrebbero venire giù. La gente vive ammassata vicino ai fiumi, agli acquitrini dove si annidano i batteri e da cui ci si lava e si disseta. Non conoscono il benessere e quei pochi potenti che comandano continuano a volerli succubi e ignoranti.

Le missioni religiose fanno molto in questa terra martoriata dalla disperazione. Le scuole, ad esempio, sono l’unica, vera ancora di salvezza per consentire a questi nostri “fratelli” di riscattarsi e non vendersi ai mercenari o, peggio ancora, all’Isis. Già ultimamente, è bene che tutti sappiano, l’Europa sta finanziando la Turchia affinché gli immigrati non invadano il nostro continente.

Di riflesso però la Turchia non se li tiene in casa e li spedisce anche in Madagascar dove, tra qualche anno, saranno circa 1200 le moschee che verranno erette nonostante il 60 % della popolazione sia cattolica. E allora perché costruiscono le moschee?

Il popolo malgascio non ha nessuna aspettativa di vita e mandare ad uccidere un componente della famiglia significa salvare dalla miseria tutti gli altri. L’Europa finanzia l’Isis?! Beh, facciamoci tutti un esame di coscienza. Per favore.

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«Ci hanno detto che servono scuole e questo è quello che abbiamo fatto – commenta il presidente dell’ass. Insieme per l’Africa, Emanuele Mastropasqua –. Un college inaugurato a Fianarantsoa (a sud dell’isola) intitolato a mons. Di Donna (primo missionario ad approdare nell’isola Rossa nel lontano 1926 assieme ad altri 4 padri Trinitari). Fondamentale è stato il gancio con i padri Trinitari malgasci che hanno seguito i lavori e che adesso si prodigheranno per mettere in uso l’edificio. È importante l’opera delle missioni in quelle terre dove l’istruzione pubblica è praticamente inefficiente perché fa comodo ai Governi».

L’edificio si sviluppa su di una superficie di metri quadrati 700, fabbricata su un piano terra e un primo piano: complessive 8 aule, un laboratorio di informatica, una sala docenti e una direzione oltre ai servizi esterni per un costo totale di 102.000,00 euro completamente finanziati dall’associazione andriese grazie al contributo del 5 per mille e alle donazioni liberali di amici e associati che hanno fortemente sostenuto il progetto.

Un altro importante tassello va dunque ad aggiungersi al considerevole curriculum delle opere finanziate dall’ass. onlus “Insieme per l’Africa”.

In occasione dell’inaugurazione, lo scorso 6 agosto, presieduta dal Nunzio Apostolico in Madagascar, mons. Paolo Rocco Gualtieri, erano presenti il Padre Provinciale della provincia malgascia, alcuni Componenti del Consiglio dell’Ordine dei Trinitari, autorità locali, rappresentanti della comunità religiosa, il Presidente della Onlus, Emanuele Mastropasqua, il vicepostulatore della causa di Beatificazione di mons. Di Donna, don Carmine Catalano, il giornalista Sabino Liso, la psichiatra, nonché consigliera comunale, Sabina Leonetti e il medico Antonio Riezzo, entrambi in qualità di associati.

«Non finirò mai di ringraziare l’associazione “Insieme per l’Africa” che ha concretamente realizzato l’opera – commenta don Carmine Catalano -. Ho avuto la fortuna di partecipare a questa esperienza che ho trovato forte ed impegnativa ma soprattutto arricchente. Con la scuola intitolata al vescovo missionario, la sua presenza si rinnova; è come se lui stesso ritornasse nei luoghi più cari della sua esistenza e continuasse l’opera di evangelizzazione dei missionari, iniziata in Madagascar 90 anni fa, proprio da lui. Bellissima coincidenza che ci ha accompagnato durante i 15 giorni straordinari di permanenza nella Terra Rossa».

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«Il Madagascar – aggiunge Sabina Leonetti, psicoterapeuta e socia della Onlus – evidentemente si divide in due realtà profondamente contrapposte: quella turistica e quella del quotidiano della gente del posto. Gli scenari naturalistici e di vita non sono nuovi alla vista di chi raggiunge quei luoghi, perché la cinematografia e i vari mezzi di comunicazione (stampa, documentari, ecc.) ce li hanno rappresentati. Ma è l’esperienza diretta, “l’esserci”, che permette una conoscenza più vicina alla vita vera, alla complessità, alle contraddizioni, e attiva una risonanza a livello di emozioni e di sentimenti. Sicuramente la cultura, i costumi, la visione della vita sono molto lontani dai nostri. Possono sorgere due atteggiamenti contrapposti: -colpiti dalla loro passività, “vivano secondo la loro cultura”; oppure – la nostra cultura è superiore quindi “imponiamo le nostre regole”. La ricerca di una strategia che consideri i due aspetti è indubbiamente quella più complessa, ma anche quella che può dare più frutti nel medio-lungo termine. La cultura è uno degli strumenti vincenti e il plauso va a tutti coloro che hanno sostenuto e continueranno a sostenere i progetti dell’associazione».
«Gli interventi mirati, attraverso la realizzazione di asili, scuole e laboratori, sono un’arma strategica per dimostrare rispetto e vicinanza verso quei popoli che hanno bisogno di noi – conclude Mastropasqua -. Continueremo a realizzare grandi opere in Africa. In quella terra così ricca di contraddizioni dove i bambini sorridono malgrado non abbiano giochi, cibo a sufficienza, si coglie a pieno il senso di ciò che l’uomo può fare per l’uomo: ciò che per noi è scontato, lì diventa lusso, ma soprattutto strumento per evitare l’attecchimento di sentimenti anti-occidentali. Piuttosto che indignarci dalle nostre comode sedie, basta un gesto piccolo, ma concreto, per risolvere tante ingiustizie».

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