Il senso del celeste: conoscenza e risorsa – di Giuseppe Brescia

lunaIl senso del celeste: conoscenza e influsso per gli antichi – risorsa e comunicazione nei moderni, di Giuseppe Brescia:

Se la foto più bella dell’anno è quella dei ‘migrantes’ sulla spiaggia di Gibuti che protendono i cellulari verso la luna per trasmettere ai cari l’ultimo messaggio, il gran tema del “senso del celeste” non può prescindere dal programma astronomico e iconografico del Ciclo dei Mesi al Palazzo ferrarese di Schifanoia, dove la fascia intermedia dei “Decani” assiste alle vicende di ambasceria, caccia o agricoltura della Corte estense, in basso; governata, dall’alto, da scene mitologiche e antiche, le cui rispondenze furono suggerite dal mago e astronomo Pellegrino Prisciani. Pico della Mirandola, sostando due volte a Ferrara, fu colpito dalle immagini di Schifanoia; e quando si recò a Firenze, forse con il figlio dell’altro ‘mago’ Pietro Avogadro, divenuto medico personale di Lorenzo dei Medici, indicò a Sandro Botticelli la possibilità di ‘ripensamento’ del modulo delle Tre Grazie, passate così dallo schema ‘classico’ e ‘statico’ a quello di ‘circolare melodia’ della “Primavera”.

Alla fine dei giorni, per rientrar nelle grazie del Papato, strenuamente oppose alla dottrina degli influssi astrali la tesi della “purezza cristiana”, nei due ponderosi tomi delle “Confutationes adversus astrologiam“, che furon ripubblicate dal Garin. Nella modernità, è bello sostare sulle profonde pagine di “Guerra e pace“, di Leone Tolstoj ( Libro quarto.Parte seconda. Capitoli XII-XIV), quando Pierre Bezuchov, fatto prigioniero dalle truppe di Napoleone, vive l’incantamento del Cielo.”Il sole era tramontato da tempo. Fulgide stelle si erano accese qua e là nel cielo; simile a un incendio, il rosso bagliore della luna piena che sorgeva si era diffuso all’orizzonte e l’enorme globo rosso oscillava stupendamente nella penombra perlacea. (..) Sull’immenso, sconfinato bivacco, che prima rumoreggiava per il crepitio dei fuochi e il vociare degli uomini, era calata la quiete; i fuochi rossi dei falò erano vicini a spegnersi e impallidivano.

La luna piena era alta nel cielo luminoso. Le foreste e i campi, che prima erano invisibili oltre i limiti dell’accampamento, ora si scorgevano anche a grande distanza.E ancora più lontano di quelle foreste e di quei campi luminoso, ondeggiante e invitante l’orizzonte infinito. Pierre guardò il cielo e le stelle che palpitando si perdevano nelle lontananze. ‘E tutto questo è mio, e tutto questo è in me, e tutto questo sono io!’ pensava Pierre.

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‘E loro avrebbero catturato tutto questo e lo avrebbero rinchiuso in una baracca sbarrata da tavole!’ Sorrise e andò a sdraiarsi, per dormire fra i suoi compagni” ( trad. di Loretta Loi, Baldini e Castoldi, 2009, pp.1380-1382). Dobbiamo a Italo Calvino, nella intervista-recensione a “Fato antico e moderno” di Giorgio De Santillana”, la prima importante riesumazione del passo tolstojano: ma senza l’accento della speciale novità, anche rispetto alla celebre lettera di Dante all’amico fiorentino ( “sotto qualsiasi cielo, non potrò forse contemplare la luna e le stelle del firmamento ?” ). Manca, cioè, nell’ Antico, il senso di una appropriazione personale profonda: testimonianza di “religione della Libertà” avverso il demone dell’uomo che “si crede Dio” ( giacobinismo e totalitarismo moderno, di cui Napoleone è, infatti, il prosecutore imperiale ). “L’avvertimento del cielo”, di cui parla Vico nella Parte della “scienza Nuova” dedicata alla condizione ferina dei bestioni, non è un sempice “racconto delle stelle”, come scrive Piero Boitani nella elegante sintesi letteraria edita dal Mulino.

E’, nella modernità, dopo lo spartiacque del giacobinismo, ben di più e altro. E’ la “resilience”, la capacità di resistenza; l’ “infinito” di Leopardi; il rinchiudersi dell’anima in se stessa fuggendo “l’urlo della via” ( Baudelaire); è lo studio simbolico della Primavera e del ciclo delle stagioni per Ernesta Battisti Bittanti; è l’influsso di Dante su Bassani e Momigliano ( “Te Lucis Ante“; addirittura con la scoperta che vi è più poesia del cielo nel “Purgatorio” che nel “Paradiso”: “Era già l’ora che volge al desio”; “La concubina di Titone antico”, e via ). E’ il “senso oceanico”, l’episteme astronomica di Koestler e Calvino.

In definitiva, come c’è una libertà degli antichi ( la polis) e una libertà dei moderni ( la tutela dell’individuo: Constant); e una “utopia degli antichi” ( o: “Eu-topia”: Platone, Moro, la città ideale )di fronte alla “dis-topia dei moderni” ( Orwell, Huxley, Zamiatin, Capek, Morselli ); allo stesso modo, cè una “conoscenza- influenza” del cielo o degli astri per gli antici; ma una “risorsa” ed esigenza di “comunicazione”, nel cielo e per il cielo, nei moderni.

Giuseppe Brescia – Libera Università “Vico” – Andria

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