Benedetto Croce e Luigi Morandi, di Giuseppe Brescia

benedetto croceDi Luigi Morandi, dotto poligrafo deputato e Senatore del Regno, nato a Todi il 18 dicembre 1844 e deceduto in Roma il 6 gennaio del ’22 ( dopo esser stato gratificato con la nomina di socio dell’ Accademia della Crusca nel dicembre del ’19 ), si raccolgono memorie e tracce erudite nella bibliografia storica nazionale, con particolare riguardo alla strenua difesa dell’unitarismo linguistico su base fiorentina ( Angelo De Gubernatis, “Dizionario biografico degli scrittori contemporanei”, Firenze 1879; Toni Iermano, 2003; Alberto Brambilla, 2012; Giuseppe Polimeni, “La similitudine perfetta. La prosa di Manzoni nella scuola italiana dell’ 800”, Franco Angeli, Milano 2011).

Il Morandi ebbe un carteggio vastissimo, nella “grande conversazione” con scrittori, letterati, storici e politici d’ ogni parte d’Italia: carteggio in fase di definitivo riordinamento presso la prestigiosa Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, donde – con animo grato – trassi diversi momenti e tasselli per la sezione “Croce e la Toscana” del mio “Croce inedito” del 1984.

Viene ora in luce la corrispondenza con il filosofo storico e critico Benedetto Croce ( Fondo “Morandi”, Pacco 6, 45/62: minuta del Morandi; Pacco 48, 9: una lettera di Croce del 1909; Pacco 53, 21: due lettere; Pacco 1, fasc. 3: una lettera; Pacco 3, 17: una minuta del Morandi; Pacco 6, 631: un altro pezzo; e Pacco 96, 37: una ulteriore lettera del 1912, documenti che ho citato in ordine cronologico ).

Non si tratta certo di lettere di importanza ermeneutica fondamentale, com’ è persino ovvio, data la natura oggettiva della corrispondenza, gravitante su interessi e quesiti di storica erudizione, non scevri di riferimenti etico-politici. Pure, nell’imponente mole dell’ epistolario morandiano ( che comprende testimonianze e discussioni di e con Giuseppe Cesare Abba, Alessandro Ademollo, Arturo Alinari, Camillo Antona Traversi, Graziadio Ascoli, Alberto Bacchi della Lega, Giacomo Barzellotti, Alberto Bergamini, Ruggiero Bonghi, Massimo Bontempelli, Onorato Caetani di Sermoneta, Luigi Capuana e Giovanni Verga, Domenico Ciampoli, Enrico Cocchia, Luigi Credaro, Alessandro D’Ancona e Francesco D’Ovidio, Edmondo De Amicis e Angelo De Gubernatis, Raffaele De Cesare e Isidoro Del Lungo, Francesco Fiorentino e Augusto Franchetti, Aristide Gabelli e Donato Jaia, Giacinto Gallina e Vittorio Imbriani, Arturo Graf e Antonio Labriola, Alberto Lumbroso e Paolo Mantegazza, Ferdinando Martini e Guido Mazzoni, la Regina Margherita e il generale Luigi Pelloux, Erasmo Pércopo e Pio Rajna, Edoardo Scarfoglio e Hyppolite Taine, Silvio Spaventa e Sidney Sonnino, Francesco Torraca e i corregionali Ciro Trabalza e Atto Vannucci, fino a Emilio Treves e Pasquale Villari ), appare evidente lo sforzo diffusivo del “manzonismo linguistico”( non privo di recuperi della poesia dialettale del Belli )che il Morandi tenacemente persegue.

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Non per nulla, scrisse Croce: “Tra i poeti, il Morandi ha amato assai un poeta dialettale, il Belli, dei cui sonetti si è fatto editore e illustratore diligente; tra i critici, Giuseppe Baretti, nel quale trova come anticipate talune idee e tendenze manzoniane. Certamente, il manzonismo è nel Morandi ridotto a pochi e piccoli motivi; quasi soltanto a ciò che può entrarne in una scuola secondaria, o addirittura elementare. Ma quel poco è, nondimeno, manzonismo genuino”.

Di fronte al De Amicis, aggiunge il Croce, “come il Manzoni dei ragazzi”, “Il Morandi ereditò in particolare la difesa dell’unitarismo linguistico fiorentino, e, consapevole o no, sentì quella difesa come apostolato. Scrittore, egli stesso, semplice, nitido, brioso, è, in verità, di quegli uomini che fanno assai bene quel tanto che fanno”( “Luigi Morandi – Francesco D’Ovidio”, nella “Letteratura della nuova Italia”, vol. 3 (1909), 1^ ed. in volume, Bari 1915; VI ed., Bari 1964, pp. 309-329: cfr. F. Nicolini, “L’ ‘editio ne varietur’ delle opere di Benedetto Croce”, Napoli 1960, p. 48 ).
In effetti, fin da giovane, Luigi Morandi, docente a Spoleto nel decennio 1863-1873 e fondatore prima di una Banca Popolare e Biblioteca circolante (1867) quindi della rivista “L’Umbria e le Marche” (1868-1870), si arruolò tra i garibaldini, prendendo parte alla spedizione di Roma e alle battaglie di Mentana e Monterotondo (1867). I forti sensi risorgimentali lo portarono a scrivere “Da Corese a Tivoli. Appunti” (1868), conquistando nel 1871 la medaglia dei Benemeriti per la liberazione di Roma. E sempre a Roma, nel 1880, vinse la cattedra di Letteratura italiana, dopo un contenzioso verso la Commissione esaminatrice, brillantemente superato presso il Consiglio Superiore del Ministero. Scrisse tra l’altro le “Poesie” ( Torino 1875 ) e “Le correzioni ai Promessi Sposi e l’unità della lingua. Lettera inedita di Alessandro Manzoni con un discorso di Luigi Morandi”( Milano 1874 ), proprio nella scia ‘unitarista’ di Ruggero Bonghi, il fondatore e direttore della rivista “La Cultura”(1881-1886), cui il Morandi collaborò, scrivendo anche la prefazione al libro “Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia”dello stesso Bonghi ( Napoli 1884 ).
Agli albori del nuovo secolo, il Morandi diede alle stampe il fortunato manuale di precettore “Come fu educato Vittorio Emanuele III” ( Torino, 1901 ). “Per tutto il primo anno – afferma Morandi -, avrei continuato e insegnargli grammatica e lingua italiana e precetti letterari, specialmente con gli esercizi del comporre e con copiose letture. Il primo luogo tra queste, lo avrebbero sul principio tenuto, contro l’uso allora prevalente nelle scuole pubbliche, prosatori e poeti moderni, attinenti soprattutto il nostro Risorgimento politico” ( op. cit., pp. 19 sgg. ).

Scrisse poi, anche da deputato del collegio di Todi ( 1895-1905, rispettivamente nella XIX, XX e XXI Legislatura ), “Voltaire contro Shakespeare. Baretti contro Voltaire” ( Roma 1882 e Città di Castello 1888 ); “Due commedie e un discorso sull’unità della lingua rispetto alla commedia” ( Roma 1883 ); e “In quanti modi si possa morire in Italia, o i sinonimi del verbo morire” ( Torino 1882 ). Coniugando, quasi negli stessi anni della tormentata crisi e formazione giovanile del Croce, il metodo della ‘scuola storica’ con la innovazione storico-estetica desanctisiana, produsse allora la “Antologia della nostra critica letteraria moderna” ( sempre pubblicata a Città di Castello nel 1884 ), cui arrisero molte edizioni ( 1887, 1890 ), resa “assai migliorata e accresciuta di ventidue scritti”, e per certi versi quasi prototipo – come “abbozzo di un’idea” – della complessa sintesi crociana della “Letteratura della nuova Italia”, in cui egli stesso avrà modo di leggere il proprio medaglione ( capitolo LVI dell’intiera raccolta ), nel tomo terzo che inizia da Giovanni Verga ( cap. XLIII ) e Matilde Serao ( XLIV) e prosegue – in una fitta serie di profili – con Ruggero Bonghi ( LIV ), Gaetano Negri ( LV ) e altri spiriti “risorgimentali”.

In questi anni, nominato il Morandi Senatore a partire dal 1905, ha inizio il carteggio crociano, prima con un semplice biglietto augurale ( “Al Ch.mo Comm. Luigi Morandi – Senatore del regno – Roma”: “Saluti cordiali Vivi ringraziamenti. – Benedetto Croce”, da “Viù – Torino” dell’ agosto 1909 ), poi con una lettera del Morandi stesso.
“Roma, 1°. II. 1909. Ch.mo Signore, La Sua cortese cartolina m’arrivò con le prime notizie dell’immane disastro e perciò l’immane disastro mi tolse quasi la capacità di pensare ad altro; e perciò La ringrazio così tardi della sua cortese cartolina. Tardi, ma di gran cuore. E poiché Ella non può certo rimanere indifferente intorno a una questione che prima e più d’ogni riforma interessa le scuole medie, Le mando un volumetto nel quale io l’ho trattata ampiamente, nei discorsi che vi son riprodotti, nella relazione dell’ Ufficio Centrale del Senato e nelle note.

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In questi giorni ho dovuto ritrovare, fra le mie carte, la lettera-programma che il povero Fiorentino mi scrisse quando lo presentai candidato a Spoleto, e vi ho letto una cosa che avevo interamente dimenticato, cioè che il valentuomo voleva emancipar gl’insegnanti del giogo della burocrazia, appunto l’idea a cui sono informate le mie parole nel volumetto che Le mando. Non stia, per carità, a ringraziarmene, perché proprio non è necessario. Ne parleremo a voce, se Lei n’avrà voglia, la prossima volta che avrò il piacere di vederla. Mi abbia intanto Suo de.mo L. Morandi” ( E’ la minuta, insieme ad altra coeva a Giovanni Verga, custodita nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, “N.A: 1475”, Pacco 6, 46 ). Ci si riferiva al progetto di riforma per l’insegnamento della lingua e della grammatica italiana nelle scuole, confutata storicamente dal Morandi nel volumetto del 1908, “Lorenzo il Magnifico, Leonardo da Vinci e la prima grammatica italiana”, su paradigma della sua propria “Grammatica italiana” ( Torino 1894).

Perciò il Croce scrisse a caldo, nel ritratto critico dell’estimatore e studioso del 1909: “Tra coloro che propugnarono la dottrina manzoniana della lingua, così negli ultimi anni della vita del Manzoni come dopo la morte di lui, nessuno, forse, fu sostenitore e difensore più logico, più convinto, più fedele, più insistente di Luigi Morandi. Si può dire che quella dottrina sia stata la sua ragion di vivere: dal discorso giovanile sulle ‘Correzioni dei Promessi Sposi’ alla ‘Grammatica italiana’ del 1894, e via via fino al volumetto, testé pubblicato, su Lorenzo il Magnifico, Leonardo da Vinci e le prime grammatiche e vocabolari italiani. In quest’ultimo, egli è tutto lieto di poter dimostrare che Lorenzo e Leonardo ‘vollero mettere grammatica e vocabolario sulla medesima strada maestra, indicata dal Manzoni dopo più di tre secoli” ( “Letteratura della nuova Italia”, cit., 3 vol., pp. 309 sgg. ).

In conclusione, per questa parte, si potrebbe dire che, come i prolegomeni della “religione della libertà” stanno anche in Machiavelli storico della “dolcezza del vivere libero” e “filosofo della libertà”, così quelli dell’unità della lingua italiana, in quanto basata sulla fiorentina, stanno nei grandi umanisti. Quindi: “Poiché la massima parte della lingua comune è stata attinta a Firenze, là bisogna prendere il resto, se si vuole una lingua intera ed organica” ( Croce su Morandi ).

Successivamente, da “Napoli, 28 ottobre 1909”, Croce conferma in una lettera su carta intestata della “Critica”:

Stimatissimo Signore,

La ringrazio molto del Suo scritto, che avevo già letto nella ‘N.A.’ ( Nuova Antologia ) Mi pare inconfutabile. Purtroppo, anch’io ebbi a notare, con mia meraviglia, la poca esattezza del Solmi: guardi, per curiosità, la ‘Critica’, vol. II, pp. 405-408. Dico con meraviglia, perché a primo aspetto il Solmi desta fiducia, presentandosi con ricco corredo di citazioni minute.

Mi abbia sempre con ossequio. Suo dev.mo B. Croce” ( Collocazione “N.A.” 1475, Pacco 48, 9).
L’allusione è a Edmondo Solmi, alla cui “La Città del Sole di Tommaso Campanella edita per la prima volta nel testo originale con introduzione e documenti” ( Modena 1904 ) era dedicata una recensione in “La Critica” ( II, 1904, pp. 405-408: cfr. la bibliografia di Silvano Borsari, al n. 453 ).
All’amico, Croce volge poi una richiesta erudita ( da Napoli, 13.1.1912, su cartolina postale “Al Sig. prof. Luigi Morandi – Senatore del Regno, via Firenze 43 – Roma ):
“Gentilissimo Amico, a me sta in mente di aver letto tra il 1884 e 1885, o lì intorno, in un giornale letterario di Roma, un lungo e bell’articolo su “Don Ferrante”, scritto da Adolfo Borgognoni. Ma, per quanto abbia cercato, non sono riuscito a ritrovare quell’articolo. Per caso, ne ha Lei qualche più preciso ricordo ? Mi farebbe cosa graditissima se me ne desse qualche notizia. Può darsi che si tratti di un errore di memoria; ma giurerei di no.
Mi abbia con cordiali saluti Suo aff. B. Croce”.

Il Croce stava programmando l’antologia critica “Disciplina e spontaneità nell’arte”, del critico letterario Adolfo Borgognoni ( nato a Corropoli – Teramo nel 1840; deceduto improvvisamente a Pavia il 31 ottobre 1893 ), dottore in legge e docente di lettere italiane nei licei, sostenitore di un recupero della tradizione contro il “verso libero” e lo “sperimentalismo”, per la raccolta dei cui scritti ( saggiati in età giovanile ) il filosofo aveva chiesto soccorso a Corrado Ricci. Sovvenendogli le intense letture del triennio romano ( 1883-1886) presso la Biblioteca Casanatense, nel periodo delle lezioni di Antonio Labriola, e cioè all’uscita dalla terribile crisi giovanile dopo il terremoto di Casamicciola, non aveva tuttavia – Croce – pronto riscontro del saggio di Borgognoni su “Don Ferrante” ( apparso sul “Fanfulla della Domenica” del maggio 1885 ), pur avendo contezza e possesso di varie altre cose dello stesso autore ( ad es: “Scelta di scritti danteschi”, Città di Castello 1897; “Studi di erudizione e d’arte”, Bologna 1877-78, voll. 2; “Rime e versi”, Ravenna 1886; e gli “Studi contemporanei”, Sommaruga, Roma 1884), donde però era escluso l’articolo “Don Ferrante”,entrato al secondo posto nell’antologia del 1913, “Disciplina e spontaneità nell’arte”( alle pp. 45-60 ).

Raccolta ancora pregevole, e studiata di recente dall’estetologo Vittorio Stella, nella quale val la pena di ricordare il primo saggio su “Alessandro Manzoni”; quelli sulla storia del sonetto e sul Machiavelli, “La Mandragola” e “Le lettere familiari di Niccolò Machiavelli” ( ricchissimi di spunti per il critico Benedetto Croce, sino a “Poesia popolare e poesia d’arte” del ’33, con la domanda, che era anche risposta, “E se la Mandragola avesse della tragedia?”); e i tanti studi sul Parini e Giacomo Leopardi (ai nn. V-VI e VIII-XI ), per tacer d’altro.

Quindi il Croce risponde, ringraziando, al Morandi, il 23 gennaio 1912:

“ Gentiliss.(imo) Amico,

Grazie della sua somma cortesia. Sono riuscito infatti a trovare l’articolo del Borgognoni nel giornale indicatomi. Manca nel volumetto degli “Studi contemporanei”.
A quando il desiderato volume del Belli ?
Una stretta di mano dal Suo aff. B. Croce” ( sempre su cartolina postale, con la data nel timbro, diretta al “Senatore del Regno – Via Firenze 43 – Roma ). Dove è parlante l’allusione all’antologia con commento del poeta dialettale romanesco, curata e progettata da Luigi Morandi.
Pochi anni dopo, usciranno prima l’articolo ‘programmatico’ morandiano, “Il Belli e il Manzoni” ( sul “Giornale d’Italia”, del 16 settembre 1911 ), poi l’atteso volume “Sonetti scelti di Giuseppe Gioacchino Belli” ( Lapi, Città di Castello 1912)

Del cui invio ringraziava il Croce, su cartolina postale con data nel timbro: “8.12.16.

Stimatiss.(imo) Prof. Morandi,
La ringrazio vivamente del dono del suo libro, che ho letto con vero piacere come sempre le cose sue. Penso di occuparmene nella ‘Critica’; ma, purtroppo, non ora: fra alcuni mesi, quando sarò libero da un grosso e aspro lavoro che ho tra le mani.

Mi abbia sempre Suo dev.mo B. Croce”( Pacco 6,31 ).

Il filosofo, con ogni probabilità, allude all’impegno richiesto dalla edizione italiana di “Teoria e storia della storiografia”(1917 ), veramente “aspro e grosso” lavoro, la cui prima edizione era apparsa in lingua tedesca ( Mohr, Tubinga 1915 ).

La corrispondenza si chiude nel ’16, sei anni prima della fine del Morandi, Senatore del Regno, cui s’ avvicenderà giusto il Croce, con una minuta, graficamente assai tormentata, del Morandi stesso ( 27 aprile: in N.A. 1475, Pacco 3, n. 19 ).

“ A Benedetto Croce,
perché veda da questo foglio in che consistesse il secondo pasticcio della Corte d’Appello e veda insieme dall’unito pezzo di ‘Tribuna’ come lo ha pasticciato la Cassazione, della quale è qui unito anche un sunto della prima, severissima, sentenza. Ma più di questi tre pezzi di carta, a me importerebbe ch’ Egli vedesse da un quarto foglio a che ne siamo con la grave faccenda della proprietà letteraria, e più ancora di tutto ciò m’importerebbe che ricevesse per sé e pe’ suoi casi i fervidi auguri d’ogni bene possibile. Aff.mo Collega, L. M. – A Benedetto Croce “ (ripetuto tre volte, come minuta di segreteria in riferimento al travagliato dibattimento sul diritto d’autore ).

Alla fine ( Pacco 1, n.3 delle “N.A.” 1475), il Croce viene incontro a un quesito letterario del collega: “Napoli, 20.4.1916.

“ Gentiliss.(imo) Amico,
Nelle opere dello Heine, tra i ‘ Zeitgedichte’ pubbl.(icati) la prima volta dallo Strosstmann nei ‘Letze Gedichte’ del 1868, si legge una poesia satirica: ‘Die Menge Hut es’, rivolta specialmente contro il Kronprinz, nella quale ricorre più volte ‘Berlin’ e anche ‘le Roi de Prusse’. Ma non oserei dire che sia questa la poesia nella quale si fece la nota sostituzione. Né ora mi riesce di trovare altra che faccia al caso. Saluti cordiali dal Suo aff.mo B. Croce”.

prof Giuseppe BresciaNoterò infine, da parte l’indagine sulle fonti heiniane della primitiva sostituzione del “re di Prussia”a “Berlino”, che interessò il Morandi, che l’amplissimo suo carteggio non concede nulla ai “decadenti” Pascoli e D’Annunzio, al nuovo “mal du Siècle” ( mentre il carteggio carducciano resta custodito nella Casa Carducci a Bologna),tutto attento com’egli era, e come pervicacemente rimase, al solco della tradizione risorgimentale unitaria, così sul piano linguistico e letterario come su quello storico ed etico-politico ( solidale sempre il ‘maestro’ Croce, “La conferenza di Benedetto Croce su Heine e Ibsen”, ne “La Stampa” di Torino, n. 307, del 27 dicembre 1920 e “Poesia e non poesia”, Bari 1921, pp. 65-75 ). In ultimo ma non per ultimo, l’impegno sociale del Morandi a favore del diritto allo studio, riflesso nell’articolo sulla “Nuova Antologia” del 16 novembre 1902 ( “Le tasse scolastiche”) è stato di recente riesumato da Annalucia Forti Messina ( “Malachia De Cristoforis: un medico democratico nell’ Italia liberale”, Franco Angeli, Milano 2003, passim ).

Giuseppe Brescia

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