Andriese a 70 anni ricorda suo padre, invalido di guerra. Storia di chi ha servito il paese – le inedite foto d’epoca

In occasione della Festa della Repubblica Italiana vogliamo riportare qui sotto una lettera aperta del signor Vincenzo Santovito, cittadino andriese, il quale, ha ricordato gli Eroi Mutilati ed Invalidi di Guerra, dopo la chiusura della storica sede di Andria, rimembrandoli con il loro motto “Per Amore Pugnammo e Soffrimmo. Dio, Patria e Famiglia”:

CIAO PAPA’ (nel giorno del mio 70° compleanno festeggio l’anniversario della tua Pasqua)

“Ciao Papà,
voglio rimembrarti sempre così ogni anno nel giorno del mio compleanno.
La sera prima, mentre eri assopito, venivi a mancarmi. La tua Pasqua era arrivata inaspettata. In un istante, fulmineo, il tuo volto si rasserenava e si lasciava candidamente il tumultuoso passato non privo di dolori, sofferenze annesse alle gioie ed emozioni di quando hai portato la mamma sull’altare. Nel proseguo della vostra vita matrimoniale, con immenso amore, avete messo al mondo undici figli. Giuseppe è venuto a mancare nel 2008. A ciò si devono annotare due episodi che hanno caratterizzato l’andamento della nostra famiglia”.

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Il primo: mentre vi stavate recando a Roma, l’11 aprile del 1955, per il matrimonio di tua sorella Nunzia, la mamma, prima di arrivare a Caserta, partoriva in treno dando alla luce un bambino di nome Francesco, chiamato così in memoria ed onore di tuo cugino Francesco perito in guerra. L’emozione, la gioia, l’ansia e le preoccupazioni si notavano mentre attendevi che la mamma partorisse. Il secondo: il 12 ottobre 1963 quando nacque Salvatore. Proprio quel giorno di sabato, tornando a casa dal lavoro, mi recai nella stanza da letto, vidi la mamma molto affaticata. Dopo averla baciata e fattole gli auguri vidi mio fratello Salvatore anch’egli affaticato e un po’ lividoso. Rimasi meravigliato nel vedere un gigante di bambino posato ai piedi di quel letto. Pesava sei chili e duecento grammi, Rimproverai la mamma perché non volle recarsi a partorire in ospedale. Per fortuna tutto si risolse nel giusto verso”.

“Oggi, nella ricorrenza del mio settantesimo compleanno, sento il dovere di rispolverare dalla mia mente i ricordi e le decorazioni che io personalmente e tutti, fratelli e sorelle, vogliamo appuntare al tuo platonico e virtuale petto. Sono le medaglie affettive. Sono quelle dei tuoi figli. La mamma era la teca d’oro dove teneva custoditi tutti i suoi gioielli. Il più prezioso e splendente eri tu. Da molti anni, tu e mamma, vagate per i cieli sconfinati, mano nella mano. Andate in cerca dove ondeggiano sorrisi portando con voi, nei vostri cuori colmi, un misterioso e delicato silenzio d’amore, cercando laddove con tenera freschezza fioriscono dolci sorrisi sulle labbra dei bambini intenti a giocare con cose inutili, divertendosi. Vorrei trasmetterti nuove parole più profonde e penetrare nel segreto del tuo animo per poter scoprire le stoccate dei tuoi occhi nutriti d’amore”.

 

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“Tutti gli anni vissuti non ho mai visto la luce splendere nei tuoi occhi. Maledetta guerra.
Soltanto tre brevetti per meriti di guerra ti sono stati attribuiti. Tu desti nel fulgente tempo della tua bella gioventù il più bel pregio della vita per la Patria: gli occhi e il pollice della tua mano sinistra. Non ti hanno appuntato neanche la croce e le medaglie che ti sei meritato sul campo, perché quel metallo serviva allo Stato“.

 


“Onorevolmente, dopo quarant’anni, sei stato riconosciuto grande invalido di guerra.
In questo particolare giorno, allo scrutar dell’alba, adagiato ad una finestra con il sole che comincia a scaldare le luci del primo mattino, tu mi ricordi di ricordarti e ricordarmi le ultime ore trascorse accanto nel mentre tu attraversavi la dolce Pasqua. Per due giorni e due notti ti ho goduto standoti accanto, festeggiando il mio compleanno ed è perciò in un momento come questo non voglio ricordare la tua scomparsa ma festeggiare il nostro anniversario“.

 


“Vorrei ricordarti, sognarti, tra le brillanti, celesti stelle dove tu ti trovi oggi nel tuo nuovo mondo, con mano nella mano guidarmi a salire su un treno per avventurarci in un viaggio percorrendo nuovi sentieri. Intravedere tra i rami degli alberi una lampada che brilla attraverso una piccola finestra di una casa, la nostra”.

 


“In quella casa vorrei trovare il tuo gracile viso con il tuo sorriso dolce mentre noi tutti seduti attorno ad un tavolo, con la mamma alla tua destra, raccontandoci le nostre vite vissute. Cento, mille e tantissimi altri suggerimenti e consigli avrei avuto se una prematura vecchiezza non vi si fosse posto di mezzo. Un vento freddo che ci ha diviso.
Sei stato e sarai sempre la luce riflessa nell’orbita splendente dei nostri cuori. Incavato in un cratere vulcanico vado ancora in cerca di quello che un vero amore paterno può concedermi. Non abbiamo corso incontro a un destino rovinoso e accettando di buon animo tutto ciò che la nostra vita ci ha reso. Non avevi una casa e un atrio e ogni angolo adornato di antiche statue. Non sei stato un nobile ma avevi tantissime belle virtù“.

 

“Sei stato un uomo con un cuore colmo di tribolazioni e le miserie che un padre così degno di ogni riverenza ha sofferto per la fede e l’amore per l’amatissima moglie e i figli.
Tu sei stato il chiarore; tu eri la gloria non solo della mamma ma di tutti noi figli. Senza dubbio per parlare di te, anzi per saperti comprendere, bisogna esprimersi innanzitutto in versi poetici. Nei nostri cuori si sono incanalate fortissime emozioni che hanno provocato teneri ed affettuosi ricordi che si conserveranno in perpetua memoria”.

 


Tu non hai mai denigrato nessuno; hai sempre diffuso la parola del nostro Dio; non sei mai stato sofferente ai disagi e non hai mai saputo mostrare i tuoi dolori fisici. Non sei stato un uomo nato da un fumo di fascine. Hai saputo dimostrare di che pasta eri fatto; hai saputo convogliare le acque dei ruscelli in un lago dove tutti noi ed anche altri potevamo dissetarci di un’acqua cristallina”.

 


Sei stato il vento che all’occorrenza saperi spirare. Eri tiepido quando faceva freddo e brioso quando faceva caldo. La nostra esistenza non è stata sempre costretta a trascinare pietre tuttavia, con queste umili parole di nostalgica malinconia, con gli animi rivolti a quella che era stata la nostra famiglia e il mondo di un tempo felice, non si è spenta irrimediabilmente e non tutto è andato perduto. La nostra fiamma è ancora accesa”.

La nostra apologia va narrata, se non scritta. Qualcuno ci racconterà e, come e quando un’alba si leva con una nebbia leggera leggera attardandosi tra i seni delle gentili genti, prima di diradarsi, sfilacciata e svogliata verso le stradine e piazze del nostro paese ansimante, facendo posto ai raggi del sole illuminando i nostri cuori colmi di soavi sentimenti.
Ciao Papà, al nostro prossimo anniversario.
Un bacione a te, a mamma e a Giuseppe.

Andria, 29/30 maggio 2017

Vincenzo Santovito
Tuo Figlio”

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