A proposito dello ‘stalinismo fiscale’ italiano – prof. Giuseppe Brescia

Siano consentite allo studioso di ricerca storica e filosofica alcune brevi note sul delicato tema del sistema fiscale italiano, e del sovente abuso di potere sanzionatorio, vessatorio e coercitivo, che lo stesso ha saputo callidamente porre in atto negli ultimi decenni. Anzitutto, il credito IVA non viene accordato per importi superiori ai cinquemila euro. Gli esercenti di bar, ristoranti e altri servizi commerciali essenziali pagano, quindi, il 22 per cento sulle forniture indispensabili per i rispettivi esercizi; ma riscuotono il dieci per cento al momento del consumo da parte del cittadino. Il che è irrituale, dal momento che la Imposta sul valore aggiunto va assolta all’atto finale del consumo.

Dunque, l’esercizio commerciale ha diritto al relativo rimborso. Ma lo Stato -‘vessatorio’- ha unilateralmente stabilito che gli stessi esercenti non hanno più diritto al ‘rimborso‘, per importi ammontanti a cifre superiori ai cinquemila euro. ‘Chi ha avuto, ha avuto; chi ha dato, ha dato’, sembra ammonire l’ Amministrazione delle Entrate italiane. Si è creato un ‘meccanismo perverso’ che pare debba vedere nel cittadino un potenziale e onnipresente ‘evasore fiscale’: il che non è. D’altra parte, il cittadino e l’utente ravvisano sempre di più nello Stato e nella Agenzia delle Entrate dei soggetti istituzionali nei quali non è bene riporre fiducia ( nonostante la proclamazione della Direzione Orlandi o dei suoi dirigenti collaboratori in sedi locali ).

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Inoltre, l’errore nella erogazione dei C.U.D. da parte delle Amministrazioni statali o Ministeri competenti o dell’I.N.P.S. viene caricato sulle spalle del contribuente ( es. fase dei pensionamenti nella Scuola, fino ad agosto di ciascun anno per il MIUR, e da settembre a dicembre per l’I.N.P.S o equipollente Istituto). Ma l’Agenzia delle Entrate ha stabilito unilateralmente che ha ha disposizione fino a quattro anni per elevare non solo i rilievi ma eventuali sanzioni, interessi, diritti di mora, variamente incrociantisi in un meccanismo degno di vero e proprio sistema totalitario (altro che ‘le tasse sono belle!’, giusta la ridicola affermazione dell’ex ministro neo-marxista Ignazio Visco ). Ma tale criterio è elemento discretivo e quindi da ‘legislazione secondaria’ interno alla Agenzie delle Entrate; né può confliggere con la tutela del risparmio sancita dalla nostra Costituzione Repubblicana. Dunque, ove il rilievo irrituale arrivi ai limiti del quarto anno, esso fa automaticamente scattare le prime sanzioni, con relativi interessi, e le ulteriori sanzioni, con altri interessi, per effetto dell’incrocio perverso con i dati contenuti nella dichiarazione dei redditi dell’anno di pertinenze (es.: spese sanitarie, per carico dei figli, per ristrutturazioni edilizie, e così via). Senza dire che, comunque, il dipendente o il lavoratore già alla fonte ha dovuto versare all’ istituto previdenziale di pertinenza i contributi per le trattenute di rito.

Si può arrivare, così, specie se il commercialista non è attento ( gravato com’è da una valanga normativa concresciuta nel tempo ) a corrispondere fino a dieci volte quanto eventualmente dovuto’ab initio’,per errore dell’amministrazione e non per propria condotta omissiva. Tutto ciò è noto in ambito non solo nazionale ma addirittura europeo; ed è stato denunziato ad es. da Nicola Porro sul ‘Giornale’ o dal giurista pubblicista Giovanni Maria De Francesco sullo stesso ‘Giornale’ o sul ‘Sole 24 Ore’. E’ un sistema ‘coercitivo’, da cui è difficile uscire: il ricorso alla Commissione tributaria, costituita da geometri, commercialisti e altri, non dà garanzie, pena la elevazione impropria di altre spese, quando non di ‘lite temeraria’! L’unica risorsa a me pare il ritorno al’diritto’, alla vichiana ‘De Constantia jurisprudentis‘, di cui mi sono occupato tra l’altro nel recente volume “Le ‘Guise della prudenza‘. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi”: ossia, il ricorso alla denuzia in sede penale per “abuso di potere sanzionatorio” e “vessatorio” ( fino ad una forma di ‘stalking’ ) dei dirigenti responsabili dei rispettivi uffici di riscossione. Si vincerà o si perderà; ma è una ‘battaglia di civiltà’, base per noi e per i nostri figli, cui non possiamo lasciare in retaggio un sistema di stampo collettivistico e autoritario, degno delle cosiddette ‘purghe staliniane’.

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Altra risposta è l’adozione della cosiddetta “Flat Tax”, di ispirazione schiettamente liberale ( tassa unica per tutti: già di Antonio Martino e dei Comitati per le libertà di Dario Fertilio e altri amici, al 18% per tutti; poi al 15%, ora con il Polo delle Libertà; meglio, il 20% per tutti, cioè alla soglia vicina al costo IVA e più conveniente per lo Stato). ‘Coraggio, pensiamo!”, diceva il caro teoreta Raffaello Franchini. Non bisogna indulgere al paradigma statalistico, consociativo, progressivo, falsamente ridistributivo della ricchezza. Senza dire che la montagna del debito pubblico è crescente; i servizi offerti dallo Stato, non di rado fallimentari ( ferrovie; pulizia; tutele boschive o ambientali, e via)! Dunque, il massimo di oppressione tributaria e fiscale, nei meccanismi esemplificati, sta di fronte al massimo di inefficienza amministrativa. Anche qui, come per un principio di sana amministrazione di ogni famiglia e consorzio civile che si rispetti, bisognerebbe attingere alle risorse auree della Banca di Italia ( almeno un quinto ), giusta la proposta dell’economista Maurizio Quadrio Curzio, chiaro docente della Università Cattolica di Milano e VicePresidente della Accademia dei Lincei. Altrimenti, pestiamo solo acqua nel mortaio ( ed è un eufemismo ); o pestiamo il contribuente e cittadino, ispirato a valori risorgimentali e civili ( comunque, degno di essere rispettato come ‘persona’ ).

Giuseppe Brescia – Società di Storia Patria per la Puglia

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