Giuseppe Brescia e “Le guise della prudenza”, di Antonio Di Bari

Giuseppe Brescia, interprete ed erede della tradizione filosofica italiana, ci offre una impegnativa rilettura di Giambattista Vico “alle origini della modernità”, rilettura incentrata sui temi delle “guise della prudenza”; del “ricorso” idealeterno, con nascita progresso e decadenza delle nazioni; del rapporto all’Islam e della biografia di Antonio Carafa dettata in latino all’altezza dell’ 11 settembre 1683; sino all’orrore per le razzie, che si irradia nel mito nella poesia e nell’arte di Sei e Settecento , da Pieter Bruegel il Vecchio a Caravaggio e da Albrecht Altdorfer a Tiepolo ( Le “Guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi, Libera Università ‘G.B. Vico’, Ed. Giuseppe Laterza, Bari 2017, pp. 160 con Iconografia ). Il tragico nella storia è oggi quanto mai incombente ( basti pensare alle grandi crisi del ‘1994’, cadenza della ragione sofistica – sostiene l’Autore -; o all’ 11 settembre 2001 e alle tante patologie del fondamentalismo ): sì che le “origini della modernità” si porgono come anche un balzo prepotente verso la stringente “attualità”. Per salvaguardare la quale, con potenza di “efficacia” ermeneutica ( la Wirkung gadameriana ), Giuseppe Brescia riscopre l’importanza del Diritto Universale e della Scienza Nuova di Vico, anzi – in particolare – della appendice Pratica di questa Scienza, apposta dal genio napoletano alla edizione del 1731, a proposito della akmé del corso delle nazioni e della difficile “lotta” per restaurare il “senso comune” nel fermarne il declino, dando così avvio al nuovo “ricomiciamento” o “ricorso”, di cui diede esaltante rivisitazione l’irlandese James Joyce con Finnegans Wake (la “veglia” lavorata nel 1922-1939 ).

Emblematici sono i “casi storici”, addotti e analizzati dal Brescia ( falsa antitesi di liberismo e collettivismo; erronea deregulation del mercato come altrettanto erronea assunzione spropositata del Welfare; “le leggi son, ma chi pon mano ad elle ?”; spregio o strumentalizzazione del diritto, per cui le campane rischiano di “suonare a morto”, come disse il teologo e filosofo Italo Mancini nella sua Filosofia della prassi, Morcelliana 1986 ; “strage ferroviaria di Andria” del 12 luglio 2016 e il rogo del Teatro Petruzzelli a Bari nel ’91).Casi storici, per decrittare i quali –sostiene Brescia -, occorre restaurare il “diritto”, il De Constantia jurisprudentis di Vico. E’ a questo punto che il Brescia estrapola degli “assiomi” o delle “degnità”, efficaci in sede di filosofia della storia: 1) Quando si sommano due o più opposti errori, si forma e prende avvio il declino delle nazioni; 2) Ciascun sistema ideologico o economico acquista ragione allorché mette in luce i limiti e gli errori del sistema a lui opposto sul piano degli schieramenti; 3) Quando più si amplia la sfera del diritto civile, tanto più dominuisce quella del penale, e viceversa ( asserzione di Giovanni Bovio ).

Non è possibile seguire l’ Autore in tutti gli incrementi filosofici e percorsi storici del complesso e compatto suo lavoro. Ma non si possono non sottolineare le importanti scoperte erudite della prima edizione degli Opuscula di Newton ad opera del “Castigioni”, Giovanni Francesco Salvemini, nel saggio Teoria dei colori Alchimia Apocalisse in Newton ( con riferimenti alla simbologia di ‘Sol et Luna’ nel dipinto di Santa Maria dei Miracoli, sul soffitto ligneo a cassettoni 1633 della omonima Basilica andriese ); o dell’ Empio Sergio e lo stupido Maometto nella Autobiografia del Vico, con riferimenti alla ricezione dell’Islam dalla Storia di Europa di Henri Pirenne alle Confutationes di Ludovico Marracci, sinora sconosciute ( propriamente, il Prodromus ad refutationem Alcorani, Congregatione ‘De Propaganda Fidei’, Roma 1691, opera distesa in 4 voll., una volta passata la ‘grande paura’ dell’ assedio di Vienna del 1683, e custodita nella Biblioteca Ariostea di Ferrara ).

Il ruolo di Antonio Carafa, il feldmaresciallo che convinse il Re di Polonia Giovanni Sobieski a scendere in difesa di Vienna assediata dai Turchi nell’agosto-settembre 1693, è ricostruito sia in base al ricordo ed elogio che ne tessé il vico; sia sugli atti diplomatici e le cronache del tempo, dalla Istoria della Repubblica di Venezia di Pietro Garzoni ( Manfré, Venezia 1716: non “Paolo”, come ripetono alcuni storici ) alla intiera vicenda dell’ Assedio di Vienna di John Stoye ( Il Mulino, Bologna 2009 ). Del resto, in un capitolo apposito, il Brescia non manca di tracciare la storia della famiglia di Antonio Carafa, del ramo degli Stadera, in rapporto all’altro detto della Spina, i cui rami arrivano fino al Conte Ettore di Ruvo e Andria, martire del 1799, e ai giorni nostri. Dal complesso di queste ricostruzioni e prove, si riceve conferma della tesi vichiana, al capitolo VIII del Libro primo del De rebus gestis Antonj Caraphaei: “His atque talibus proceres cunctantem axtimulat, regem, sua sponte cupientem, inflammat”. Il che già Benedetto Croce aveva succintamente rappresentato: “Combatté nella campagna del Reno; fu incaricato di recarsi ambasciatore al Sobieski che accompagnò alla liberazione di Vienna” ( saggio su Antonio Carafa in Uomini e cose della vecchia Italia, del 1927, poi Bari 1956, I, pp. 249-265 ).

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Importanti e suggestive sono le Rarità vichiane a Trani, custodite nella Biblioteca “Bovio” e consistenti in rare prime edizioni di opere del Vico, con testimonianze raccolte da Brescia dei relativi donatori e interlocutori, dal ferrarese Girolamo Baruffaldi a Ludovico Antonio Muratori a Gian Donato Rogadeo, giureconsulto che firmò i propri ‘ex libris’ e illustrò i meriti del patriziato meridionale nel Ricevimento dei Cavalieri dell’Ordine gerosolimitano ( rara edizione italiana, per i tipi di Vincenzo Orfino, Napoli 1785 ). Parlando di Vico e De Sanctis a Trani, a memoria del celebrato “Discorso di Trani” dettato dal critico irpino nel gennaio 1883, non si può tralasciare il grande penultimo capitolo La nuova Scienza della Storia della letteratura italiana del 1870, con il giudizio sul Vico, che anche Giuseppe Brescia ripropone: “Era il retrivo che, guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Era un moderno, e si sentiva e si credeva antico, e resistendo allo spirito moderno, riceveva quello dentro di sè”. E ancora: “L’importante non è di osservare il fatto, ma di esaminare come il fatto si fa. L’idea è vera colta nel suo farsi. Il pensiero è moto che va da un termine all’altro, è l’idea che si fa, si realizza come natura, e ritorna idea, si ripensa, si riconosce nel fatto”. Commenta Brescia: “Mescola l’idealismo di Schelling e il sistema di Hegel, il De Sanctis; comunque sempre con attinenza a Vico e alle ‘guise’ della mente umana” (Le ‘guise della prudenza’. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi, Bari 2017, pp. 28-29). Antonio Di Bari

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