Incendio a Castel del Monte: ecco perché le conifere alloctone aumentano il rischio. L’analisi di Montepulciano

Nicola Montepulciano, promotore di iniziative finalizzate a tutelare le querce autoctone del territorio

Puntuale la reazione di Nicola Montepulciano, non solo davanti al bilancio preoccupante del grande incendio verificatosi a Castel del Monte ma anche in merito ad alcune dichiarazioni riguardanti la manutenzione della pineta di Castel del Monte (perlopiù caratterizzata dalla presenza di alberi alloctoni che non sembrano migliorare la tutela della biodiversità della murgia andriese tanto cara da Montepulciano e protetta dall’ente parco). Per comprendere al meglio l’argomento affrontato, riportiamo qui sotto l’analisi di Montepulciano:

“Dopo l’incendio che ha colpito marginalmente la pineta di Castel del Monte si sono levate voci di protesta su come viene gestita, tutte voci di competenti. Si è d’accordo che per contrastare gli incendi si debbano adottare tutti i mezzi moderni e antichi e fra questi ultimi sono validissime, secondo me, le torrette di avvistamento e la miglior torretta è Castel del Monte, senza neanche salire sul terrazzo, ma non possono dare il 100% di sicurezza antincendio. Possono limitare moltissimo i danni. Come spiegare, altrimenti, l’altissima frequenza di incendi in tutta Italia, particolarmente quella Settentrionale? Nel Carso si sono avuti 5 incendi in pochissimi giorni. Possibile che nessun bosco del Settentrione sia dotato di idonei sistemi antincendio? E quelli francesi, portoghesi, spagnoli, etc.?” – osserva il nostro concittadino ecologista che prosegue:

“Il manto boschivo di Castel del Monte è rimboschimento voluto dal sindaco di Andria, Carlo Antolini, 1946-1950, del Partito Comunista, per dare lavoro ai tantissimi disoccupati ritrovatisi senza lavoro dopo la guerra ( P. Petrarolo, “Andria dalle origini ai tempi nostri”, pag. 170- Sveva Editrice, 1990. N. Turi, “Andria: Durante gli anni bui tra il 1940 e il 1950…”, pag. 193- Casa Editrice Menna, Avellino, 2005 ). Fu realizzato con piante a conifere: pini, cipressi e anche tuje, facili prede di incendi. In un corso per il WWF tenuto in un istituto di Bari, nel 1989 (se non ricordo male), ci fu spiegato che le conifere sono specie adatte per rimboschimenti. Ma in Puglia, definita “Terra delle querce”, che risultati si possono ottenere con le conifere? E, infatti, a mio parere la pineta non è niente di eccezionale. (Le specie di querce in tutta Italia sono 15, ebbene soltanto in Puglia ve ne sono 10, di cui 2 endemiche! ). Alcuni botanici affermano che tutte le specie di alberi messi a dimora in luoghi diversi da quelli di origine finiscono col procurare problemi di vario genere. I rimboschimenti artificiali, nel nostro caso a conifere, vanno curati per moltissimo tempo, così come si cura una qualsiasi coltura artificiale:

uliveto, vigneto, mandorleto, agrumeto, roseto, orteto ( dove si coltivano peperoni, cime di rape, broccoli, etc. ), in base alle rispettive esigenze. Le pinete, ad es., possono subire attacchi di processionarie che vanno eliminate quanto prima altrimenti quelle seccano. In un bosco giovane come la pineta di C. d. M. (si considera giovane un bosco di 100-150 anni) potrebbe non esserci tanto legno morto e anche questo è una condizione preoccupante. Tuttavia, per vari motivi (nevicate, fulmini, vento forte, etc.), nelle pineta vi è un certo quantitativo di rami caduti e qualche albero morto ancora in piedi (che prima o poi cadrà ) e qualcuno a terra. Il legno morto è un elemento fondamentale per la vita dell’ecosistema bosco perché procura substrato, nutrimento e ospitalità per moltissime specie, fra cui quella fauna che vive a spese del legno morto chiamata fauna saproxilica (sapros= putrido, xuleon=legno) a prevalenza insetti, il cui compito è decomporre il legno morto, restituendo i componenti nutritivi al bosco. In questo modo si chiude il ciclo dei nutrienti (ciò che per altre circostanze potrebbe essere paragonato all’economia circolare), venendo garantita la corretta funzionalità dell’ecosistema boschivo. In altre parole, la fauna saproxilica fertilizza fortemente il terreno. La decomposizione costituisce un’importante funzione vitale. (Odum- “ Basi di Ecologia”, pag. 36, Piccin, 1988). E’ un processo molto lungo e complesso ( Ibidem, p.39 ). Perciò i rami caduti, come pure i tronchi morti sia ancora in piedi che caduti, vanno lasciati sul posto, per gli insetti di cui sopra e solo così si può avere una discreta pineta buona per la rinaturazione. E’ mentalità diffusa che il legno morto sia tolto dai boschi per evitare incendi e per difendere gli alberi sani da attacchi di parassiti. Mentalità senza fondamento scientifico perché soltanto e solo il legno morto viene attaccato. Per semplificare: in una prima fase il legno morto viene attaccato dai funghi, che riducono la compattezza del legno morto e danno la possibilità agli insetti xilofagi di intervenire. Questi scavano gallerie favorendo l’ingresso dell’umidità, che si manterrà per sempre, intervengono poi insetti saproxilofagi, che si nutrono del legno, e lo degradano definitivamente. Il legno marcio poiché umido non alimenta l’incendio, se mai lo ritarda e gli insetti xilofagi non attaccano gli alberi sani. Alcuni studiosi suggeriscono, addirittura, di introdurre legno morto nel bosco, qualora non ne fosse provvisto a sufficienza. Si rimane sconsolati, sbigottiti leggere che “si andranno a eliminare le piante morte o deperenti per favorire il rinnovo spontaneo delle specie quercine autoctone, rafforzandone la presenza attraverso l’impianto in alcune piccole aree”. Parole dette da chi dovrebbe essere a conoscenza della vita del bosco. Osservazione:

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se togli il legno marcio si favorisce il ritorno delle specie quercine, e le querce che sono nate spontaneamente nella pineta allora? I pini e le conifere in genere hanno una continua caduta di foglie contenenti oleoresina acida infiammabile; questi due fattori non consentono un adeguato sviluppo del sottobosco. Le foglie si trasformano in humus dopo anni e comunque acido. Esposte al sole o per il caldo le aghifoglie diventano come paglia e insieme alla resina facilmente prende fuoco soprattutto d’estate. La fiamma si trasmette con questa progressione: prima attacca il tappeto fogliare, vero e proprio pagliaio resinoso, poi si propaga alle piante appena più in alto fino ad arrivare agli alberi più grandi, avendosi, così, il fuoco di chioma. Vedere la chioma di un pino adulto prendere fuoco è terrificante:

a causa della resina di cui è pieno l’albero e del gran caldo, che poi aumenta grazie al calore del fuoco, si ha una vampata potentissima, quasi esplosione, con scintille proiettate in tutte le direzioni anche per decine di metri e ancori più se c’è vento. Quando le scintille incontrano altri pini o cipressi è fuoco in pochi secondi, (e quelle ville o villette che hanno pini a pochi metri di distanza? Non riesco a pensarci più di tanto. Per sicurezza andrebbero eliminati quanto prima). Il problema non è dato dai rami o tronchi secchi, è il tappeto fogliare, ma sempre se c’è qualcuno che appicca il fuoco. Se vuoi dare fuoco con un fiammifero ai rami o tronchi secchi non ci riuscirai mai, ma né rami né tronchi né tappeto fogliare sono sporcizia, sono sostanze del bosco, che la natura ricicla molto lentamente. Ma il vero problema è l’imbecille che appicca il fuoco e va stanato e rinchiuso a vita perché commette un vero e proprio crimine contro l’umanità, altro che pene attuali” – ha concluso il nostro concittadino ecologista (che ringraziamo per questo suo nuovo importante intervento).

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