Lo sfogo di un andriese: “noi tartassati da un sistema fiscale ricattatorio mentre a Roma si arricchiscono”

“La tassazione, siamo condannati dalle tasse. Più ne mettono e più ci costringono a digiunare. Il torchio delle tasse ha raggiunto l’apice ed è talmente tanto che non riesce a stillare neppure più una goccia di sansa. Dov’è il nostro mondo? Ci siamo lasciati trascurare il ridente passato alle nostre spalle. Gli atti dei nostri valori non li abbiamo curati più e non guardando chi ci pugnalava a tradimento. Noi non gioviamo di piani innocenti per le nostre colpe manifestate per non soccombere agli strapoteri di un fisco abnorme e farraginoso. Bisogna combatterlo, con l’aiuto dell’audacia, considerato che con la burocrazia si viene sempre oppressi, soppressi e sconfitti. Chi nasce in uno stato libero non deve mostrare tutte le ferite inferte ingiustamente dal fisco. Sono tantissimi i contribuenti vittime di debiti che vengono spillati e talvolta sono ridotti a dissipare i loro risparmi di una vita per onorare “quel creditore che si chiama fisco”. Vorremmo strapparci i cenci vestiti e mostrare le nostre cicatrici ma non tutti possono mostrare le loro carni lacerate dal fisco. Comportarsi come i galli è da barbari, sovrapponendo la spada sulla bilancia resa ancor più pesante da parte del fisco” – comincia così il racconto del signor Vincenzo Santovito, “osservatore civico” della città di Andria. 

“Non è con l’oro ed il ferro che possiamo sconfiggere un sistema fiscale ricattatorio e redimere la nostra Patria, l’Italia. Sotto questo sistema ci siamo impantanati in un cespuglio di rovi, impedendoci di mostrare i nostri andati sacrifici vivendo in parsimonia, non prendendo di mira chi fa sfarzo del proprio benessere approfittandosi, arricchito illegalmente durante la loro permanenza nei posti di potere con tangenti, concussioni, e ricatti”.

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“Fino a qualche anno addietro avevamo le anfore e i pozzi pieni di acqua di riserva ormai del tutto prosciugati dal fisco, costringendoci a vivere come parassiti alle mense dei poveri come Sarmento e Gabba. Tempi felicissimi sarebbero se a Roma si vedesse costruita una sola prigione, ospitando tutti coloro che si sentono sostenitori della Patria. A codesti sfonda pareti bisogna far degustare il gustosissimo e costosissimo garum. Per noi non ci sono posti dove regnano gli emarchi. Costoro sono gente che per vizio congenito non dividono mai ma tutto per lor soltanto lo tengono”.

“Se accenni ad avvicinarti ti cacciano come se fossimo appestati. Al canto loro devono sedersi ruffiani, figli di ruffiani da qualunque lupanare siano nati. Gente puerile come tantissimi di noi, senza denari, non sono ammessi tra gli edili. A Roma lo splendore delle vesti dei potenti è sempre oltre le possibilità di chi le indossa. Si vuol sempre di più di quanto si avrebbe bisogno, attingendo sempre dalle tasche altrui. Non c’è chi non abbia questo vizio e tutti pretendono di vivere da ricchi senza avere un euro in tasca. Il destino di noi contribuenti tartassati è di dover pagar sempre tributi e tasse e arricchire i servi dello Stato. Mentre noi disgraziati abbiamo perso tutto il nostro nullo. Siamo afflitti da una nuova malattia, quella dell’insonnia e per tale causa stiamo morendo. Un medesimo languore ci viene dallo stomaco per il cibo fermentato e malo digerito. Dormiamo in case dove non è più permesso di dormire tranquillamente. Non riusciamo più a conoscere il colore del nostro pane. Ai deboli si serve il pane che lo puoi rompere a fatica e masticare, se hai ancora i denti. E i bocconi sono farciti di muffa, con una mollica solidificata mentre il bianco, tenero e fresco pane impastato in fior di farina è riservato “ai padroni di casa”. Non fa bene trattarci in talo modo, dal momento che abbiamo e stiamo sopportando tutto ciò. No, ma in che mondo ci fate vivere? Da chi ci malgoverna non lo meritiamo, non bisogna essere sempre pronti a giurare sulle teste degli altri. Non bisogna temere che qualche ladro vi rubi le verdure di vostri orti. I ladri preferiscono irrompere nelle case dove sono sicuri di riempirsi le tasche di soldi ed oro splendente, rimanendo impuniti. Ma c’è chi da molto tempo ha prosciugato tutte le nostre tasche e i pochissimi risparmi di una vita depositati incautamente in banca. Povero mondo, non abbiamo neanche un obolo da mettercelo sulla bocca dopo morti, da offrire al traghettatore Caronte. Ci fate vivere in un mondo tetro con sperdute speranze di notare un alone di luce dove possa indicarci una nuova via. Spesse volte ci rechiamo da chi ci ha resi schiavi essendo stati uomini liberi, riducendoci in uomini morti e tutti sanno che i morti non parlano né tantomeno mordono”.

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“A volte si rimane abbagliati da un fascino che intossica la loro ambizione e ricercare il lusso in ogni parte del mondo nel mentre sono tantissimi che si mordono dai morsi della fame, restando sordi ai pianti dei cittadini, inermi chiudendoci le porte in faccia. In che mondo ci fate vivere? Non ci lasciamo tentare di riconquistare il consenso comune e godere di una vittoria democratica e duratura. Non vogliamo generare rancore ma vogliamo consolidare una duratura libertà. Lasciateci tentare, se possibile, di riconquistare in comune perché possiamo deliziarci di una serena tranquillità che duri nel tempo. Gli altri, infatti, a causa della loro malvagità, hanno generato dissapori e con questo l’impossibilità di consolidare un dialogo duraturo per una convivenza serena. Noi tali soggetti non li vogliamo imitare”.

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