Montepulciano: “pini ed eucalipti stanno prosciugando la Puglia, promuovere le querce autoctone”

In molteplici occasioni, il ricercatore ed ecologista Nicola Montepulciano ha voluto sottolineare l’importanza della tutela del patrimonio botanico territoriale (rappresentato, ad esempio, dalle numerose varietà di quercia) ed al contempo, puntando il dito contro quegli alberi introdotto artificialmente, che invece si sono rivelati di fatto nocivi per il nostro territorio. Attraverso una sua nuova ricerca, Montepulciano descrive come pini ed eucalipti – entrambe specie non autoctone ed introdotte dopo i disboscamenti – stiano contribuendo al prosciugamento del nostro territorio e persino alla sua vulnerabilità durante gli incendi. Ecco perché:

“La Puglia,” – osserva Montepulciano – come ben sappiamo, è una regione povera d’acqua, ma anticamente ne aveva in abbondanza, perché era ricchissima di boschi, che erano in buona parte formati da querce di diverse specie, ben dieci, caratterizzanti ognuna una parte precisa del territorio regionale. La roverella (Quercus pubescens Willd) è la quercia che caratterizza il territorio di Andria, dove forma boschi puri, con propaggini sino a Minervino e Corato. In Italia il clima è da sempre favorevole agli alberi e lo era di più quando pure le terre che circondavano il bacino del Mediterraneo erano ricoperti di boschi, ciò consentiva un regime di piovosità del tutto favorevole e regolare, oltre il pensabile. Per questo in Puglia l’acqua non mancava. Nel corso dei secoli, però, il manto boschivo veniva sempre più ridotto, soprattutto nel periodo dei Romani, grandi distruttori di boschi e successivamente dei Veneziani e di Federico II e così via. Il colpo decisivo alla distruzione quasi totale dei boschi in tutta la Puglia, salvo qualche piccolo lembo qua e là, avvenne nel periodo compreso fra il 1860 e 1880, quando solo in Andria si distrussero circa 6.000 ettari di bosco, e purtroppo non finì lì:

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Come naturale conseguenza si ebbero gravissime siccità e alluvioni, proprio come oggi. Si cercò di correre ai ripari con i rimboschimenti, ma le specie utilizzate di alberi, conifere (pini, cipressi, tuje, etc.) ed eucalipti, erano del tutto diverse dalle querce e si rivelarono dannosi quasi quanto i diboscamenti. Ecco cosa scriveva nel 1981 il biologo Franco Tassi, allora presidente del Parco Nazionale d’ Abruzzo, sul periodico “Panda” del WWF: << Pini ed eucalipti crescono più in fretta, è vero, ma vi sono mille ottime ragioni per rifiutarli. Con quelle essenze, infatti, si impedisce la ripresa dell’ecosistema originario, si impoverisce il suolo, si crea, insomma, un autentico deserto biologico. Anche il rapporto con il ciclo dell’acqua viene ad essere negativo: conifere ed eucalipti non agiscono da provvide spugne capaci di accumulare, trattenere e poi restituire il prezioso liquido (nell’atmosfera, attraverso l’evapotraspirazione, ndr), ma funzionano da vere pompe, che succhiano l’acqua dal suolo, (la trattengono per sé ed è per questo che crescono in fretta, ndr) essiccandolo e determinando il progressivo abbassamento delle falde (acquifere, ndr)>> (Vedi foto):

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Creano, quindi, un deserto anche nel sottosuolo e se si pensa che uno studioso scrisse:<< Le radici sono il bosco sottoterra>>, con tutte le dinamiche ecologiche utili all’uomo e agli animali, è facile immaginare cosa comporta un bosco di pini ed eucalipti. G. Angle nel suo libro “Habitat” – WWF, 1992, scrive:<< Il criterio migliore per scegliere le specie da utilizzare consiste nell’impiegare solamente quelle presenti nelle formazioni boschive spontanee del luogo (nel nostro caso, roverelle, ndr) evitando nella maniera più assoluta di utilizzare specie esotiche come eucaliptus e conifere non appartenenti alla flora italiana. Questa scelta risulta particolarmente valida dal punto di vista della prevenzione degli incendi; è noto, infatti, che alcune specie mediterranee come la sughera (ma anche la roverella e tutte le querce pugliesi, ndr) resistono meglio agli incendi che non conifere ed eucalipti>>. Ne “IL PIANETA CHE CAMBIA” di B. Boyle e J. Ardill, 1990, a pag. 126 si legge:<< La distruzione dei boschi altera il clima locale, riducendo la quantità d’acqua che circola fra gli alberi e le nubi (creando siccità per mancanza di pioggia, ndr) e aumenta il contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera… La nuova piantagione, dove questa viene tentata, avviene soprattutto con monocolture di specie commerciali come l’eucalipto: inutile dal punto di vista della protezione della varietà biogenetica>>. Questo vale anche per i pini. Se non ricordo male, una parte di rimboschimento di Finizio è stata attuata con eucalipti. Errore gravissimo. In base a quanto scritto, si può ritenere il rimboschimento di Finizio un fallimento. Se in un giorno d’estate con caldo un po’ forte si va a Castel del Monte non si sente quel fresco che ti spinge a coprirti le spalle, si suda come in città. Se ci fossero querce vi sarebbe tutt’altro microclima. I signori del Parco della Murgia, non che avessero colpa, devono provvedere gradualmente ad eliminare eucalipti (se vi sono) e pini specialmente se vicino ci sono querce piccole o grandi che siano. Ma viene da chiedere “Come si sono potuti piantare questi alberi in una Puglia che muore di sete”?” – conclude Montepulciano.

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