Wilhelm Roepke e le radici cristiane del liberalismo, di Giuseppe Brescia

Il geniale e traslucido filosofo triestino Carlo Antoni ( Senosecchia 1896 – Roma 1959 ), originale interprete e prosecutore del “padre” Croce, su invito e segnalazione dello stesso, fu tra i fondatori della Mont Pelérin Society, con Friedrich von Hayek, Wilhelm Roepke e altri “amici liberali”, giusta la ricorrente espressione durante il Carteggio Croce-Antoni (Il Mulino, Bologna 1896, pp. 93 n. e 113, in riferimento alle lettere del 26 agosto 1848 e 22 settembre 1950).

“Sono stato poi in Olanda, dove mi sono incontrato con i miei amici liberali della Mont-Pelérin Society” – “La povertà degli studi di filosofia fuori d’Italia è veramente impressionante. Come vede, ho fatto il missionario nelle terre degli infedeli. Ma mi propongo anche di combattere contro gli infedeli nostrani, annidati nelle cattedre universitarie”.

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Lorenzo Infantino, in varii suoi studi gravitanti sulla scuola austriaca di economia e da ultimo nella edizione della Autobiografia di Friedrich von Hayek, di cui ha curato la Postfazione ( Rubbettino 2011 ), fa cenno alla corrispondenza Croce – Hayek e Hayek – Antoni, anche se senza editare per intiero le varie tessere epistolari, dal fascicolo di “Mondoperaio” del marzo 2003 in poi. Ma, nella stretta attualizzazione del campo di questi studi, a noi interessa ora focalizzare l’interesse e l’importanza degli apporti lasciati nel ripensamento liberale dal filosofo svizzero Wilhelm Roepke, cattolico liberale teorico dei “corpi intermedi” e della necessaria “distinzione dei poteri”, di cui il Croce aveva recensito Die deutsche Frage, del 1945, nei suoi “Quaderni della Critica”, II (1946, 79-80 ) e poi all’interno della cospicua raccolta di Nuove Pagine Sparse ( Ricciardi, Napoli 1949, II, pp. 200-202 ). Nato a Schwarmsted nel 1899 e deceduto a Ginevra un cinquantennio addietro, il 1966, il Roepke fu autore tra l’altro di Crisis and Cycles ( London 1936 ) e Civitas Humana (1948 ).

Poco più tardi, ma con più centrale attenzione, l’Antoni dettò un Profilo di Roepke in “Risorgimento Liberale” del 21 settembre 1949, sugli scudi della pagina 1; e, soprattutto, la traduzione italiana di Crisi e rinnovamento del liberalismo ( in “Carro minore”, III, 1948, fasc. 3-4 ). Ed è questo saggio che merita di attrarre la nostra attenzione, come Capitolo 3 del volume La crisi del collettivismo, anche tradotto da Michele Biscione ( ai capp. I-II e IV-V, La Nuova Italia, Firenze 1951, pp. 79 sgg. ).
Notevole risulta il passo, ancora attuale: “Ciò che hanno cominciato queste ‘animae naturaliter Christianae’ ( i.e.: antichi greci, Stoa, Cicerone ), il cristianesimo lo ha poi compiuto tramandandolo come diritto naturale cristiano. Soltanto il Cristianesimo ha compiuto l’atto rivoluzionario di sciogliere gli uomini, come figli di Dio, dalla costrizione dello stato e, per parlar con Guglielmo Ferrero, di demolire l’ ‘esprit pharaonique’ dello stato antico”.Inoltre, il Roepke commenta sagacemente in una nota ( alla p. 88 ) il saggio dello storicista Ernst Troeltsch, Naturrecht und Humanitat in der Weltpolitik, del 1922-23 ( “Weltwirtshaftliches Archiv”, p. 489 ), a proposito della “integrazione” del mondo classico nel Cristianesimo. “Fu una fortuna – argomenta il teorico liberale – che la Bibbia non contenesse, come il Corano, un rigido codice sociale, perché soltanto così ci è stato risparmiato l’irrigidimento teocratico del mondo islamico. In compenso però il Cristianesimo non ha soltanto ‘accolto’ o frenato in senso conservatore la tradizione classica della filosofia sociale, bensì, mercé la sua dottrina della salvazione, l’ha posta su una base nuova e durevole”.
Queste riflessioni risultano quanto mai calzanti nella dimensione contemporanea dei limiti e aspetti del fondamentalismo islamista, chiarendo con ineccepibile rigore storico il fatto che – da un lato – il cristianesimo nasce in antitesi alla costrizione ‘statalistica’; e dall’altro che la stessa Bibbia, o Antico Testamento ( come inverato e adempiuto nel Nuovo ), a differenza del Corano, “non contiene un rigido codice sociale” ( in esempio, per la famiglia, la donna e i suoi costumi, le limitazioni allo studio e alla libertà personale, i figli, il cibo ), avendoci così “risparmiato l’irrigidimento teocratico del mondo islamico”. I precetti evangelici riposano su altri nuclei: “Ama il prossimo tuo come te stesso”; “Se non hai la carità, nulla ti giova” ( Paolo Cor., 13, 1-13 ).
In definitiva: “Ogni volta si è risposto che il muro che divide in questo punto l’antichità classica da noi è il Cristianesimo, cui dobbiamo il precetto: ‘Date a Cesare ciò che è di Cesare, date a Dio ciò che è di Dio’.(..) Noi abbiamo qui dunque da fare indubbiamente con il retaggio riunito dell’antichità classica e del Cristianesimo. (..) Questa forza è l’idea essenziale al liberalismo, della autodecisione dell’uomo mediante l’appello alla ratio: l’abbattimento di vincoli, l’emancipazione dell’uomo e la instaurazione della sua autonomia. Nel diritto di natura cristiano questa forza è ancora raffrenata, benché già in diverse correnti della Scolastica non siano da disconoscere moti di ribellione ed un uomo come Abelardo già ci può apparire come un precursore di Erasmo. (..) Il liberalismo non è – per dirlo con tutta chiarezza – nella sua essenza un abbandono del Cristianesimo, bensì il suo legittimo figlio spirituale, e soltanto una straordinaria riduzione delle prospettive storiche può indurre a scambiare il liberalismo col libertinismo. Esso incarna piuttosto nel campo della filosofia sociale quanto di meglio ci hanno potuto tramandare tre millenni del pensiero occidentale, l’idea di umanità, il diritto di natura, la cultura della persona e il senso dell’universalità. (..) Ma il liberalismo è tanto meno un dogma rigido. Esso è piuttosto una forza sempre desta, che torna sempre a salvaguardare l’ Occidente dall’irrigidimento ed ha operato con un sempre più vigile smascheramento della menzogna e della oppressione dell’uomo per il mantenimento della tensione tra libertà e vincolo, che costituisce la gloria e il pericolo della nostra civiltà. A seconda del grado dell’ardimento, con cui ci si lascia spingere da questa forza, risultano tutte quelle varietà del liberalismo, che ad uno degli estremi ci fa dubitare se non abbiamo già da fare col conservatorismo, e dall’altro già con l’anarchismo” ( pp. 88-91 ).
Evidente è qui l’influsso di Croce –all’interno delle “coordinate europee di Croce e il cristianesimo”, in generale -, sia per il saggio del ’42 Perché non possiamo non dirci cristiani, che per la ricezione della “religione della libertà”, operante come “forza sempre desta”. Si approda alla chiamata verso “un grande fronte comune”, come alla sintesi di liberalismo e liberismo ( espressamente evocata alle pp. 105-107 del saggio La crisi del collettivismo ).
Ancora: la critica del “potere” è desunta da Schlosser ( “la potenza è in se cattiva”); Lord Acton ( “Power tends to corrupt, and absolute power corrupts absolutely” ); e già Gladstone ( “The first lesson of history in that liberty depends on the division of power” ); via via, con il sistema dei “contrappesi” ( op. cit., pp. 93-95 ). Ma ciò che tocca fin dentro l’attualità, è il netto discrimine tra islam e cristianesimo, potere ‘faraonico’ e ‘rigida etica sociale’ del primo – e ‘divisione dei poteri’ con la premessa al liberalismo, pel secondo. Tutto ciò non è certo di poco momento, ogni volta che si dimenticano le “origini” delle differenti religioni, storicamente determinate. Come abbiamo ricordato nei lavori dedicati a Croce e il cristianesimo e Benedetto Croce e Luigi Sturzo ( Quaderni dell’Acton Institute, Rubbetitno 2003 e 2006 ), nel 622 Maometto disdisse l’ordine ai suoi di pregare rivolgendosi a Gerusalemme, per indirizzarli verso la Mecca, dove avrebbero dovuto ripercorrere le tracce del rivendicato padre Abramo. Ma La Mecca era occupata da una fiera tribù ostile, contro cui Maometto dové aspramente combattere per aprirsi l’accesso e la via alla dominazione e conquista: donde il carattere bellicoso e aggressivo sia della religione islamica sia delle ‘surah’ dalla quinta alla decima del Corano, che ne formò il testo base, ma senza un “nuovo” Corano. Viceversa, l’origine storica del Cristianesimo, l’attrito dialettico verso e contro di cui la “nuova” religione dovè aprirsi il varco dialetticamente, fu nel rapporto con la forza imperiale di Roma, emblema dello stato: perciò, la risposta cristiana dalle origini in poi ( fatte salve – ovviamente – le deviazioni di potere gesuitico, controriformistico e simili forme ) è “umile”, amorosa, caritativa, nata “dal basso” non gestita – per dir così – dall’alto del potere corruttivo. E perciò, tale risposta si purifica e depone nel motto: “Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”, menzionato da Roepke in linea con l’Antoni e il Croce.Già la “degnità”147 di Vico insegnava: “natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre che sono tali, indi tali e non altre nascon le cose”.
A questo chiarimento ha offerto il destro la rivisitazione della trama dei rapporti tra il filosofo liberale svizzero e i capofila del liberalismo etico-politico italiano. Il Roepke si definiva “Human Economist” (1960) e fu poi consigliere economico del cancelliere tedesco Adenauer, compendiando la propria dottrina come “Ordoliberalism”, in una forma di “terza via”, al qual proposito Luigi Einaudi, nel tenace dibattito con Croce su “Liberismo e Liberalismo”, osservava che essa non potesse giammai consistere nella “politica dei piani” di impostazione collettivistica. E sul punto tutti gli amici della Mont Pelérin Society convennero decisamente, spesso conquistando il più alto successo del Nobel per la Economia. Ancora più sommessamente, se la cosiddetta “terza via” non risiede nei “piani”, può rintracciare forse risposte valide per la “crisi ed il rinnovamento del liberalismo” ( aggiungiamo ora noi ) nei “modi”, o “principi regolativi”, del “new deal liberale” .

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In fondo, l’approccio ermeneutico alla “terza via”, che procuro di attualizzare nella determinazione dei “modi categoriali”, era indicato da Croce nella “libertà”, in risposta al percorso della “economia di mercato”, tracciato esattamente dal Roepke. Discutendo, infatti, il libro di questi, Die Gesellschaftkrisis der Gegenwart ( Erlenbach – Zurich 1942 ), a proposito di “terza via” ( der dritte Weg ) tra socialismo e capitalismo nella “rigenerazione” della “economia di mercato” ( Marktwirtschaft ), Croce dice di aver anch’egli – quasi per primo – cercato “ a un dipresso” un comune percorso: “libertà” e non “liberismo” puro e semplice, come segno della “coscienza morale stessa, intesa nella sua dinamica concretezza”. Onde: “L’ adozione di essi ( metodi ), secondo luoghi e tempi, o meglio secondo i singoli momenti storici, deve essere un atto della coscienza morale o della libertà moralmente intesa ( ‘liberale’ e non ‘liberistica’ )”. Nella errata “combinazione di due sistemi opposti”, poi, secondo il Roepke, si configurerebbe il “socialismo”. Ma Croce corregge: “i termini del contrasto e della contradizione non sono in questo caso tra etica ed economia, ma tra due etiche opposte, l’una della coscienza morale, o della autonomia, e l’altra del comando dall’esterno, o dell’eteronomia”. “Il caso di concordanza è posto dal Rpepke nel rapporto che il sistema etico-politico liberale avrebbe con la ‘economia di mercato’, ‘ un plébiscite de tous les jours’ “ ( p. 162 del libro dell’economista svizzero ). Anche qui Croce obietta una riserva: “Ma la concordanza dei due è piuttosto nella immaginazione semplificatrice che non nella realtà, perché, per non dir altro, l’economia di mercato, come egli stesso ammette, vien sospesa o assai ridotta durante le guerre e altre condizioni straordinarie. (..) E poi la distinzione di ordinario e straordinario è affatto empirica, e in realtà lo straordinario è in ogni momento della vita. (..) Anche ciò il Roepke afferma con forza e insistenza, riponendo la salute e il vigore dell’economia di mercato in quei l i m i t i che sennatamente si pongono al mercato stesso ossi alla concorrenza”. In conclusione: “Non mette conto che io dica quanto vivo sia stato il mio morale e pratico consenso nel corso della lettura del suo libro e come e quanto esso risponda al mio animo, ai miei desideri e alla mia speranza, e in quali punti io sia rimasto incerto non per altro che per il limite delle mie conoscenze circa il mondo economico odierno, nel quale l’autore si muove con piena sicurezza” ( cfr. La “terza via” in Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, Bari 1944, pp. 27-36 ).
Tre anni più tardi, nel saggio Ancora di liberalismo, liberismo e statalismo, prima accolto in Due anni di vita politica italiana (1946-1947), poi in Liberismo e liberalismo ( rispettivamente Bari 1948 e Ricciardi, Napoli 1988 e “RCS”, Milano 2011, pp. 82-90 ), Croce torna sul tema dei rapporti tra “terza via” e “liberalismo”. “Di questo liberismo, dell’ ‘economia di mercato’, di questa che chiama la ‘terza via’, il Roepke è il principale autore e l’indefesso apostolo, e la dimostrazione che egli ha data, con argomenti di fatti, del fallimento di un’economia pianificata è altamente probante” ( in nota rimandando: “Si veda una recente sua conferenza tenuta in Roma nel settembre del ’47: Wilhelm Roepke, Bilancio europeo del collettivismo, Roma 1947 ).

Il punto de l’unione dei contrari può stare, dunque, nel criterio direttivo e ispiratore della storia, la “libertà” ( Croce ), o nella “economia di mercato” ( Roepke ), o nei suoi “limiti” ( lo stesso Roepke, come interpretato da Croce ): ma anche nei “limiti” opposti allo statalismo e, a fortiori, al sistema Welfare; e così nei princìpi regolativi e modi sia del liberismo che dello statalismo. Dove si vede l’efficacia della critica agli errori rispettivamente ereditati dai due contrapposti sistemi; e il fondamento “patico”, affettivo, simbolico dei modi attuativi degli stessi ( introiezione psicologica degli errori e delle malversazioni, cattivo esempio della “perversity” o “corruzione”, “messa a repentaglio” – per adottare termini dello Hirscham – della libertà e della democrazia ). Tutto ciò involge, comunque, nella nostra ripresa di Manzoni storico e Voltaire ideologo e La rivoluzione di Croce, il sentimento religioso della libertà, il rispetto della regola aurea dello storico britannico Curtis ( citato da Croce ) di considerare sempre che ogni provvedimento adottato “giovasse o nocesse ai fini della libertà” , e il congiunto esplicito richiamo alle radici cristiane del liberalismo. Siamo negli anni del distacco dal governo di unità nazionale e dal togliattismo ( 1945-1947 ): e nel coevo saggio Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, spesseggiano gli echi evangelici del dettato crociano, insieme – si badi – al ripudio del gesuitismo come sistema di potere e volontà di dominio nel mondo. Ciò forma – ancora un a volta – terreno d’incontro con Sturzo da una parte, Roepke e altri autori di scuola austriaca o della Mont Pelérin Society, dall’altra. Con lucida tempestività, il Croce mette a fuoco il giro essenziale dei problemi sollevati dalla incombenza del comunismo in Italia e nel mondo. “Subietto della storia è, infatti, il positivo e non il negativo; e il nòcciolo del comunismo, nella sua idea ultima e direttrice, nel principio a cui dà fede, non è la positività di un’azione o di un’istituzione, ma un conato nel vuoto, il quale, nella sua più nuda espressione, si risolve nel concepire l’ideale della vita come pace senza contrasti e senza gara..”
“Pertanto il comunismo, nella sua idea, è non solo un’utopia, ma, si potrebbe dire, un’utopia assoluta, irredimibile, inattuabile, in qualunque età, ancorché la si ponga nel più lontano avvenire, nel più tardo ad avvicinarsi a noi. Quelle che ne sono parse attuazioni storiche, p. es. certe sètte variamente religiose, fondatrici di piccole colonie, o le missioni g e s u i t i c h e del Paraguay, o i cenobi e le altre e simili istituzioni delle chiese, lasciando stare che sempre assai presto si pervertirono e decaddero o si disciolsero, non si reggevano da sé, ma come parti di una società non comunistica, di cui erano o formazioni parassitarie o strumenti o delegazioni per certi fini speciali” ( op. cit., pp. 6-7 ).

Il riferimento a cenobi e comunità gesuitiche in Paraguay sembra premonitore, o, meglio, attuale di una verità ideale eterna, sol che si rifletta ai recenti viaggi del Pontefice francesco” in America Latina, e ai messaggi di vicinanza e consonanza con le figure di dittatori colà imperanti e con i fratelli Fidel e Raul Castro a Cuba. Le radici “cristiane” della modernità, anche del liberalismo, viceversa, per il Croce vanno rintracciate altrove e fatte proprie su altre basi di principio. “Il rapporto che la concezione liberale ha con la comunistica è quello di chi ha maggiore esperienza e meditazione verso chi ne ha meno e che perciò si avvolge in fraintendimenti ed equivoci o si lascia trasportare nell’immaginazione. E la concezione liberale sa che la vita è divenire e perciò perpetuo contrasto e perpetua soluzione, perpetua soluzione e perpetuo rinascente contrasto.. Ma sa anche che l’uomo può trasportare, e nel fatto trasporta, il contrasto vitale sempre più in alto; e questa è la fede che informa il suo fare, questo è ciò che si chiama il perpetuo progresso e avanzamento e arricchimento e affinamento della vita umana” ( pp. 7-9). Qui Croce cita il Faust di Goethe, “Che cerca l’attimo al quale possa dire di arrestarsi sentendolo compiutamente bello, non lo trova mai, e quando sembra che alfine l’abbia trovato, e quella parola gli esce dalle labbra, ha trovato invece non un attimo in cui egli si possa adagiare prolungandolo, ma un i d e a l e che sorpassa gli attimi e i godimenti materiali, l’operosità indefessa nella libertà”. Per ciò, Croce può metter magistralmente in guardia contro l’integrazione di due “integrismi”, il comunistico e il malamente inteso cattolicesimo, con riflessioni di non sopito interesse su cui si è soffermato il Jannazzo nel suo Croce e il comunismo ( Roma 1982 ). “Concezione laica e di carattere immanentistico ( il liberalismo ), laddove la concezione comunistica, per il suo intrinseco materialismo, mette capo a una sorta di t r a s c e n d e n z a d e l p r i n ci p i o m a t e r i a l e, e, quantunque entri in conglitto con le chiese cristiane e altresì con la cattolica, ha pur con quest’ultima un indiretto punto d’accordo nella mortificazione che il comunismo infligge al rigoglio del pensiero e dell’azione e nella tendenza di esso a ridurre al grado elementare, a quello tra di bambini e di uomini addetti al solo e perciò delusivo perseguimento dei bisogni del benessere, le società umane, le quali la Chiesa cattolica può ben accettare così spiritualmente estenuate e piegare docili al suo potere e al suo dominio con l’additar loro, a compenso della miserabile vita sulla terra, la beatitudine nei cieli” ( pp. 11-12: mie le spazieggiature, nel testo ). Non sembra di veder qui caratterizzata la previsione del disegno di “umanità nuova”, a seguito della “creazione” e “De-creazione”, qual si rappresenta nella mano distruttrice dei templi romani in Medio Oriente e in Libia, dipinta dal fotografo rumeno Koudelka, con la benedizione di Mons. Ravasi alla Biennale d’Arte di Venezia 2013 ? E non sembra di ravvisarvi la descrizione ante litteram dei benefici che dalla umanità “spiritualmente estenuata”, a opera del fondamentalismo islamista e sue varie diramazioni, potrebbero derivare ai fini del “dominio” veramente universale, ma piegando a “miserabile vita” e “docile” remissione l’uomo, alla Chiesa ?

Perciò, a correzione di questi orientamenti integralistici e del libro coevo del belga Henti De Man ( Aprés coup, Bruxelles 1941 ), Croce denunzia l’uso del termine “libertà” come mero epiteto, epitheton ornans,al fianco di “giustizia”; e riapre con elevati accenti il discorso liberale. “Che cosa credeva, dunque, il signor De Man, che tutto ciò che uno di noi, nel suo particolare, opina buono e utile, debba non urtare in ostacoli ed essere, senz’altro, accolto e attuato dagli altri uomini ? O che non vi debbano essere più al mondo imbrogli e prepotenze e altre birbonerie, che vi sono state e vi saranno sempre, ma che non perciò sopprimono l’opera sana e progrediente dell’umana società, come la storia in tutto il suo corso attesta ? (..) Purtroppo temo che queste strane cose egli candidamente credesse, perché semel abbas semper abbas; e chi non ha spontaneo il senso della storia e del dramma e della tragedia della vira umana non l’acquista mai veramente o non l’acquisterebbe se non con sudori di sangue come quelli che bagnarono la terra nell’orto di Getsemani” ( pp. 13-15 ).
Ricomparendo come polla sorgiva il richiamo profondo alle verità del Cristianesimo, qui evocate con la terra bagnata di sangue al Getsemani,Croce non fa che ritornare al suo, e nostro, Leit-motiv di fondo, espresso nella rinnovata critica al socialismo: “Soggetto di questa storia dei partiti socialistici non è, dunque, il comunismo, ma il Christus patiens, la travagliata e travagliante umanità, che sostiene le sue prove dolorose e tuttavia ad esse non soccombe” (p.17). Certo, qui il richiamo al Cristus patiens, ritiene un che di metaforico, per lumeggiare le “dolorose prove” della “travagliata e travagliante umanità” : ma, nel contempo, di potentemente metaforico, o sim-bolico, che dir si voglia, a indicare la dimensione storica e spirituale della dialettica dell’umano, in tutta la sua autenticità. Opera cui concorre, e soccorre, per parte sua, il lavoro filosofico del Sorel. “Giorgio Sorel, che assai più del Marx aveva calore di sentimento e impeto poetico, sognò una classe operaia che avrebbe maurato una più schietta e viva moralità, rinsanguando le società umane, come un tempo operò il c r i s t i a n e s i m o, al quale gli piaceva di paragonare il vagheggiato suo socialismo sindacalistico” ( pp. 19-20 ).

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Su queste basi, Croce confuta la dottrina marxiana della “dittatura del proletariato”. Ricorda l’emergenza di una “nuova classe” come “burocrazia tecnica e politica”, al potere nelle società collettivistiche ( l’espressione sarebbe stata adottata dal politico e scrittore jugoslavo Milovan Gilas). Sottolinea la contradizione tra il vagheggiato “regno dellka libertà” e la pretesa “abolizione dello stato” in Marx, non senza il ripristino e formidabile “potenziamento dell’ingerenza statale” nel sistema comunistico storicamente attuato. Dimostra il sofisma della tesi onde il socialismo attuato non sarebbe realmente tale, dato che “il problema da risolvere non è questo, disperato, di sostituire un fatto, che non è stato inteso, alla dimostrazione del principio necessario per intenderlo, ma unicamente quello storicamenteindividuato”. E chiude richiamando la conclusione della Storia d’Europa nel secolo decimonono, che ha la data del 1932, appello alla “religione della libertà”. “E in qual modo il suo popolo si svolgerà nell’avvenire, dirà soltanto, com’è chiaro, l’avvenire, e in qual senso noi auguriamo che si svolga sarebbe superfluo qui dire perchè la cosa non ha importanza e, in ogni caso, è implicita nel modo nostro di concepire la vita umana nella sua storia e nel suo ideale” ( op. cit., pp.19-26 ). A noi tocca trarre lume e conforto dai princìpi direttivi dell’analisi storica, economica e politica di Croce, in sostanziale sintonia con i dettami della economia di mercato e della rivendicazione delle origini cristiane della creatività della persona, tracciate simultaneamente – ma non solo – da Wilhelm Roepke. Sempre in antitesi con le seduzioni e lusinghe del potere, variamente collettivistico o integralistico, in prestante agguato.

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