La figura e l’opera dell’andriese Alfonso Leonetti ( Andria, 13 settembre 1895 – Roma, 25 dicembre 1984 ), autore della autobiografia politica Da Andria contadina a Torino operaia ( Urbino 1974 ), si ritrova al centro di importanti percorsi e generazioni, dalla lezione di Antonio Gramsci e dalla redazione di Ordine Nuovo alla fondazione del Partito Comunista italiano, dalla amicizia con Leone Trotsky alla polemica con Togliatti e il perdurante togliattismo, fino alla lezione di Benedetto Croce, inteso agli studi di ripensamento del marxismo alla fine del XIX secolo e decisivo nella formazione di Gramsci e in sede di giudizi storici a proposito del marxismo-leninismo. Ne ricostruisco alcuni aspetti e problemi, nel vasto moto ideale italiano ed europeo del “revisionismo”.
“Il Loria” – scrive senza mezzi termini Croce – “ha eseguito un plagio delle idee fondamentali storico-economiche del Marx, abilmente dissimulato, in modo che sembra talora una correzione, tal’altra una confutazione” ( cfr. Materialismo storico ed economia marxistica, Bari 1961, 7^ ed., p. 24, susseguente la prima raccolta di importanti saggi del 1899, la seconda del 1906, la terza e la quarta del 1917 e 1927, fino alla sesta comprensiva del saggio Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia, scritto il 1938 per accompagnamento alla ristampa dell’opera di Antonio Labriola, La concezione materialistica della storia, sempre per il Laterza della una volta ‘storica’ collaborazione ). Tutta la silloge resta dedicata “Alla memoria di Antonio Labriola, che m’iniziò a questi studi”. Ma il saggio che torna in auge nella ermeneutica filosofica del tempo e della libertà, Le teorie storiche del prof. Loria, risale al 1896 ( pp. 25-56 ). In esso, come si ‘diverte’, il Croce, a smontare le leziosaggini letterarie di Achille Loria ! “L’accademia dei Lincei, nel rapporto ufficiale per conferimento del premio reale all’ opus maius dell’ Analisi della proprietà capitalistica, lo diceva: ‘opera veramente originale, nel senso e più genuino ed elevato della parola’ (!)” ( p. 24, nota 1 ).
La banalità principale, stentoreamente asserita dal Loria e sottoposta a critica radicale in sede di revisione, ci riporta al cruccio più profondo dell’ animus etico-politico di Croce: “La variopinta scena del sentimento e della fantasia è un semplice ‘miraggio’ degli interessi economici“ ( p. 29 ). – La ricchezza del cuore, la ‘fucina del mondo’, il bisogno di ‘fede’ trasposto nel fervore dell’opera e poi nella ‘religione della libertà’, venivano meschinamente declassati dal Loria: “Per lui, veramente, il solo uomo che esista è l’astratto homo oeconomicus, noto agli studiosi di economia pura, e ch’egli interpreta come l’uomo egoistico per eccellenza. Tutte le altre manifestazioni dello spirito sono gli strumenti, di cui l’ homo oeconomicus si serve. (…) Ogni fatto ha un ‘nòcciolo essenzialmente economico’ “. ( ibid. )
“E’ di fronte alla riduzione a puro ‘miraggio’ degli interessi economici, che subisce la ‘variopinta scena del sentimento e della fantasia’, che insorge l’obiezione di Croce; sulla ‘qualità del’ideale morale’, e non sulla classificazione di teorie etiche eseguita dal Loria, s’appunta la sua critica e s’accende, kantianamente, la sua mente: ‘Nell’animo umano si fanno vivi sentimenti di obbligazione incondizionata, che si chiamano sentimenti morali. Come si giustificano ? Su che si fondano ” “ (Materialismo storico, cit., pp. 29-32; Giuseppe Brescia, “Non fu sì forte il padre”.Letture e interpreti di Croce, Salentina, Galatina 1978, pp. 28-30 e passim ). Inoltre, recensendo il libro del prof. Stammler, analogamente Croce lamenta: “Rimane da esaminare tutto il tessuto di esperienze, deduzioni, aspirazioni e previsioni, in cui consiste davvero il socialismo; ma, innanzi a cose siffatte, lo Stammler passa indifferente” ( p. 120 ).
Nel succedersi delle ‘generazioni’, titolari di sempre nuove eppure compaginate ‘interpretazioni’ del revisionismo crociano ( in es. Antoni, Garin, Sasso, Stella, Parente, Franchini, Bobbio, Matteucci, Pellicani, De Aloysio, Corsi, De Caprariis, Garosci, Valiani, Ciardo, Stuart Hughes, Galasso, Setta, Colapietra, Maggi ), e sorpassando l’ideologico profilo tracciato sommariamente da Michele Abbate, questo argomento della preminenza della coscienza morale ( prima della revisione del calcolo economico e della teoria del valore-lavoro ) resta il punto decisivo, ed accorato, della questione, sul quale concordemente insistemmo io e il compianto studioso palermitano Antonio Jannazzo ( Le politiche dello storicismo, Carucci, Assisi 1972; Croce e il comunismo, ESI, Napoli 1982 ). “Di fronte all’avvenire delle società, di fronte alle vie da seguire, è il caso di ripetere con Fausto: – Chi può dire io credo ? Chi può dire io non credo? Non già che qui si voglia raccomandare o in alcun modo giustificare il volgare scetticismo. Ma occorre, nel tempo stesso essere consapevoli della relatività delle nostre credenze, e praticamente risolversi quando il non risolversi è colpa. Questo è il punto; e in esso son tutte le angosce degli uomini adusati a meditare, e di qui nasce spesso la loro impotenza pratica, che l’arte ha simboleggiata in Amleto. (..) Ma bisogna (..) tener poi sempre presente che le grandi personalità storiche hanno avuto il coraggio di osare. ‘Alea iacta est’, disse Cesare; ‘Gott helfe mir, amen! ‘, disse Lutero. L’ardimento storico non sarebbe ardimento, se fosse accompagnato dalla sicura visione anticipata degli effetti, come nei fanatici o negli ispirati dal Signore. Per fortuna, la logica non è la vita, e l’uomo non è solo intelletto. E, se negli stessi uomini nei quali è svolta la facoltà critica, c’è l’uomo fantastico e passionale, nella vita delle società l’intelletto ha parte circoscritta, e con un po’ d’iperbole si può anche dire, che le cose seguono il loro corso, indipendentemente dal giudizio nostro” (Materialismo storico ed economia marxistica, ed. cit., pp. 102-103 nel denso capitolo Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo.I. Del problema scientifico nel ‘Capitale’ del Marx.II. Il problema del Marx e l’economia pura.III. Della circoscrizione della dottrina del materialismo storico.IV. Della conoscenza scientifica rispetto ai programmi sociali.V. Del giudizio etico rispetto ai problemi sociali).
‘Dialettica delle passioni’ e ‘Teoria della previsione’ venivano, così, a tematizzarsi nella fondazione reciproca, da noi perseguita. “Io credo – io non credo, la cautela e l’ardimento, Fausto e Amleto, l’elemento ‘fantastico e passionale’, costituiscono i termini e i simboli della crociana risposta vincente alla marxistica imago mundi. Similmente, punto di forza nella critica al Loria era stato proprio il senso dell’arte, della fantasia e del mondo morale” ( cfr. “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce, cit., pp. 23-33: “Il concetto di previsione e la sua genesi” ). Per cinquant’anni, si stende l’arco temporale-prospettico tra il Croce 1896 della revisione marxiana ( “Un di quei due, che la gran torre accese” ), all’altezza della Seconda Internazionale e sotto l’influenza parziale di Labriola o nella collaborazione con Giovanni Gentile ( son questi anche gli anni degli studi sul ‘secentismo’ e della fitta discussione epistolare a proposito del contenuto ‘interessante’ in arte ); e il Croce del 1946, che ravvisa i pericoli del togliattismo egemonico e del totalitarismo, con i saggi L’Anticristo che è in noi e La fine della civiltà, denunciante il primo il surrogato del ‘dis-valore’ sofistico ai danni del ‘valore’ etico, e il secondo il rischio che il fiore della civiltà venga strappato via da un nembo avverso, evocando quasi evangelicamente la trepidante vigilanza della coscienza morale e il perdurante fascino della leopardiana ‘ginestra’. E, in effetto, il disegno dell’ ‘Anti-Croce’ andava sistematicamente avanti, con tutte le gravi implicazioni etiche, estetiche, filosofiche e politiche ( il ‘realismo socialista’ avrebbe dovuto soppiantare ogni liricità; condannate la ‘separatezza dell’intellettuale’, la poesia e la memoria familiare, il fervore religioso dell’opera, fino al Dottor Zivago del Pasternak e al Giardino del Bassani, comparato alla ‘Liala del secolo’; ravvisate nel neo-idealismo le ‘matrici culturali del fascismo’; e censurata persino la nuova edizione del Labriola, a cura di Eugenio Garin, della Concezione materialistica della storia, da cui fu espunta la robusta ‘Appendice’ Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia del 1937-38, nel nuovo volume della Universale Laterza n. 9 del 1968-1969 ).
1896-1946. – C’ è chi ha voluto censurare il mutamento, che è un capovolgimento, intervenuto nelle posizioni di Croce verso il marxismo, senza considerare che la ‘situazione’ storica ( dopo il trattato di Jalta, la cosiddetta togliattiana ‘svolta di Salerno’, il nuovo disegno della ‘egemonia’, il ponte tra partiti di massa ed i piani dell’art. 7 ) era profondamente cambiata, nel segno di nuovo incombente ‘totalitarismo’. I frutti della ‘egemonia’ – preparati per tempo – sarebbero stati in parte riscossi nei successivi decenni, nella fase storica dal 1946 agli anni Sessanta e Settanta. Pure, vari fattori già operavano, indipendentemente, a incrinarne gli appariscenti successi e i ‘segni del tempo’.
I progressi della ermeneutica filosofica, alcuni concetti della cui teoria della interpretazione convergevano con la Storia come pensiero e come azione e l’ideale ‘contemporaneità della storia’ di Croce; l’ attività di riviste come “La Cultura”, “Nuova Antologia”, Centro “Mario Pannunzio” di Torino, “Rivista di studi crociani”, “Filosofia Oggi”, “Oggi e Domani”, “Nord e Sud”, “Realtà del Mezzogiorno”e “Il Contributo” riportavano l’attenzione sulla aderenza ai testi ed esaltavano la vastità e profondità degli interessi crociani. La diffusione internazionale del pensiero di Vico e Croce; la contemporanea e significativa critica verso il totalitarismo elevata da vari autori ( Raimond Aron, Hannah Arendt, Jacob Talmon, Leslek Kolakowski, Nicolae Tertullian, Domenico Settembrini ); le tante analogie e affinità con la critica del linguaggio capovolto in 1984 di George Orwell, con Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler, e la rivincita degli intellettuali ‘senza potere’ arrivati al ‘potere’ con Vaclav Havel, la denuncia del gulag presso Gustaw Herling e le varie forme del dissenso sovietico e polacco, la rivolta fenomenologica avverso il gelo burocratico dello stalinismo ( Vackaw Belogravski e Jan Patocka, con la Charta 77, in Cecoslovacchia ), la teoria della società aperta e la teoria unificata del metodo ‘problemi-teorie-critiche’ di Karl Popper; insieme con le reazioni ottenute dalla occupazione sistematica delle ‘casamatte della società civile’ ( Università, case editrici e giornalismo di massa ), occupazione che generava malcontento e nuove rivalità presso i dissenzienti ma anche inefficienza amministrativa o sovrapposizioni d’incarichi nei consenzienti ( nepotismo, cooptazioni, corruzione, fino al declino del mondo accademico ), con la ribadita percezione delle “conseguenze inintenzionali di azioni umane intenzionali”; ebbene, tutti codesti elementi, di cui si è inteso offrire una sintetica rassegna, finivano per comportare il classico Numeratae pecuniae, nihil, in riferimento ai falliti tentativi delle “Variazioni dell’ Anti-Croce” ( così isolate da Antonio Jannazzo ). Ora, entrati in questa nuova fase, non si trattava più di operare una sorta di “sbarco su Croce” ( come lo definiva Raffaello Franchini ), né di insistere nella “rimozione di Croce” ( e questa volta il giudizio storico è di Michele Maggi, già allievo e prosecutore del Garin nonché curatore dei “Discorsi parlamentari” di Croce ). Bisognava –giusta la rinnovata ermeneutica, rispondente a nuovi impulsi etico-politici – riaccreditare Croce, ma su un altro versante, una linea più sottile ed interna alla rilettura di Materialismo storico ed economia marxistica e della teoria del valore-lavoro. In particolare, si dispiegava la analisi del “Marx possibile. Benedetto Croce teorico marxista 1896-1897” ( eseguita da Claudio Tuozzolo, per i tipi della Franco Angeli, Milano 2008 ), alla ricerca di un Marx “diverso”, non “filosofo della storia” né monista “economicistico”, cui il Croce sarebbe pervenuto negli anni 1893-1896, in base a presupposizioni “neokantiane”, che lo avrebbero indotto a elaborare le tesi sul marxismo come “canone d’interpretazione storica”, e sul “paragone ellittico” tra “ideal-tipo sociale” e sviluppo “reale” della economia e della società occidentali. Tutto ciò veniva ricostruito , ben riconoscendo la serietà delle “scrupolose ed originali indagini crociane del 1896-97”.
Su questa linea si muovono altri saggi accolti nel volume Benedetto Croce. Riflessioni a 150 anni dalla nascita, a cura dello stesso Tuozzolo ( Aracne, Roma 2017 ): Girolamo Cotroneo, Croce, il liberalismo e l’oblio del ‘Marx possibile’ ( pp. 139-153 ); Tom Rockmore, Cosa è vivo e cosa è morto del Marx di Croce ? ( pp. 155-174 ); Stefano Petrucciani, Appunti su Marx e Croce. Materialismo storico, etica e teoria del valore (pp. 175-196 ); Claudio Tuozzolo, Idealtipo, valore e plusvalore. Le idee di Weber nel ‘paragone ellittico’ del giovane Croce ( pp. 197-242 ); Piergiorgio Della Pelle, Il dibattito Croce-Pareto sul materialismo storico (1896-1897), ancora qui a seguire ( pp. 243-257 ).
L’insistenza del “programma di ricerca” ci invita ad approfondire ulteriormente il tema, una volta riconosciutone l’interesse e, con la genesi storica sopra succintamente ricomposta, la giustificazione. Già nel saggio iniziale su Antonio Labriola ( pp. 12-13 ), Croce esalta – con lui – “la complicatezza della storia, il successivo fissarsi e isolarsi dei prodotti di primo grado che diventano indipendenti, le ideologie che si cristallizzano in tradizioni, le ostinate sopravvivenze, l’elasticità del meccanismo psichico che rende l’individuo irriducibile al tipo della classe o dello stato sociale, l’inconsapevolezza ed inintelligenza nella quale gli uomini si sono trovati circa le loro proprie situazioni, l’insaputo e l’inconoscibile di credenze e superstizioni nate per istrani accidenti e ravvolgimenti”. Questa consapevolezza della complessità degli accadimenti storici mette altresì in guardia dalla evenienza di “plagio” letterario delle teorie del Marx. “Tutto ciò mi ricorda – dice argutamente il Croce – un detto di Gian Paolo Richter: che noi facciamo collezione di pensieri come gli avari di monete, e solo tardi cambiamo le monete in godimenti, i pensieri in esperienze e sentimenti” ( pp. 14-15 ). Valgano gli esempi di Tommaso Moro o Campanella. In che consiste la novità, allora ? “Rispetto alla storiografia, il materialismo storico si risolve, dunque, in un ammonimento a tener presenti le osservazioni fatte da esso come nuovo sussidio a intendere la storia. Esso è simile, per un rispetto, al problema dell’uomo di Stato, e consiste nelcomprendere nelle loro cagioni e nel loro operare le condizioni di un dato popolo in un dato periodo: con questa differenza, che lo storico si ferma ad esporle, e l’uomo di stato va oltre a modificarle; che il primo non paga direttamente la pena dell’aver mal compreso, laddove l’altro è soggetto alla dura correzione dei fatti” ( pp. 15-16 ). Dunque: “concezione realistica della storia” ( pp. 20-21 ), già prima del saggio sulle “teorie storiche del prof. Loria” ( maggio 1896 – settembre 1896 ).
Dove Croce ribadisce: “Il Loria sconosce con mirabile franchezza i canoni elementari di tali ricerche, e come altro sia metter fuori un’osservazione incidentale, che si lascia poi cadere senza svolgerla, ed altro stabilire un principio di cui si sono scorte le feconde conseguenze; altro enunciare un pensiero generico ed astratto, ed altro pensarlo realmente e in concreto; altro, finalmente, inventare, ed altro ripetere di seconda o di terza mano” ( pp. 27-28 ). Ed è qui che il Croce, richiamandosi al mònito di Federico Engels nel suo Anti-Duhring ( alla 3^ ed., Stuttgart 1894 ), onde “l’arte di operare coi concetti non è alcunché d’innato o di dato nella coscienza comune, ma è un lavoro tecnico del pensiero che ha una lunga storia”, contesta al Loria di avere – per dir così – ‘contaminato’ due diversi “tentativi di concezione del valore”: “la concezione classica e obbiettiva della scuola ricardiano-marxistica, che riduce il valore al lavoro, e la concezione utilitaria, propugnata dalla scuola che si suol chiamare austriaca” ( pp. 34-35 ).
E’ a questo punto che Croce inserisce in una densa nota a pagina intiera il contributo più importante rispetto al tenore della critica stessa al Loria, lumeggiando la propria tesi del “paragone ellittico” ( p. 34, n. 1 ): “A parlare correttamente, la teoria proposta dal Ricardo e perfezionata dal Marx non è una teoria generale del valore, ossia non è propriamente una teoria del valore. Questa teoria generale è invece l’assunto della scuola edonistica o austriaca. Che cosa è, dunque, la concezione del valore nel Capitale del Marx ? E’ la determinazione di quella particolare formazione di valore, che ha luogo in una data società (capitalistica) in quanto diverge da quella che avrebbe luogo in una società ipotetica e t i p i c a. E’, insomma, il paragone tra due valori particolari. Questo p a r a g o- n e e l l i t t i c o forma una delle principali difficoltà per la comprensione dell’opera del Marx. In pura economia, il valore di un bene è uguale alla somma degli sforzi ( pene, sacrifici, astensioni, ecc. ), che sono necessari per la sua riproduzione; e salari e profitti del capitale sono entrambi economicamente necessari, posta la società capitalistica”. Proseguendo nella propria mantissa ermeneutica, il Croce aggiunge: “L’eguaglianza umana, affermata e presunta nella stessa società capitalistica, è ciò solo che mette in grado di qualificare sopralavoro e sopravalore la derivazione del profitto. – Per tali ragioni bisogna concludere che è vano ogni tentativo di confutazione delle teorie del Marx in nome delle teorie edonistiche, come del pari è assurda la confutazione di queste in nome di quelle; e che l’apparente antinomia delle due diverse teorie del valore si risolve col riconoscere che la teoria della scuola edonistica è, senz’altro, la teoria del valore, e la teoria del Marx è un’ a l t r a c o s a”.
Oggi, si potrebbe invocare, sul punto, più che una meramente letteraria “terza via”, la ricerca di “nuovi modi” per la “religione della libertà”; beninteso, mercé tutta una serie di mediazioni economiche e rteoretiche, che presuppongono i passaggi storici e le “guise” della libertà. Ma, per allora, il Croce non dice di reclamare un “Marx possibile”; anzi, vichianamente, di badare alla “misura stessa” ( p. 65 ), a proposito della teoria del “valore-lavoro” ( sempre in questo saggio, alle pp. 60-63 ), dopo aver introdotto un suggestivo parallelo Marx-Vico ( p. 58 ). Addirittura, nel saggio sulla interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo (pp. 82-85 in: 57-114 ), riprendendo Kant maestro della ermeneutica nella prima Critica del 1781, corregge però esplicitamente il tiro, con grande cautela metodologica: “Ma tutto ciò importa fino a un certo segno all’interprete e allo storico delle idee; perché, per la storia della scienza, il Marx e l’Engels sono né più né meno di quel che si dimostrano nei libri e nell’opera loro, personaggi reali e non ipotetici o possibili. Senonché, per la scienza in sé stessa, e non per la storia di essa, anche i Marx e gli Engelsipotetici o possibili ritengono uso e valore” ( sottolineatura mia ). Si può enucleare, per “forza” ermeneutica, un “Marx possibile”; ma sempre rammentando, e così evidenziando, il “Marx” ( o l’Engels ) “reale”: cioè, quello del “paragone ellittico” nella elaborazione della teoria del valore-lavoro come “ideal-tipo”; e del materialismo storico come “canone” d’interpretazione della storia. Stesse considerazioni possono svolgersi a proposito dell’altro fondamentale saggio, di economia politica e a tratti di matematica, a proposito della “Caduta tendenziale del saggio di profitto”, cavallo di battaglia dell’incompiuto terzo libro del Capitale di Marx, e che Croce sottopone ad analoga rivisitazione. Il paradigma è sempre quello del “paragone ellittico”, ma inoltrato sul terreno delle leggi economiche ( pp. 151-164 ): “Vero è che tutte queste cose io le ammetto in un certo senso, che non è il senso dei volgari marxisti, in quanto cioè si riguardino non come leggi realmente operanti nel mondo economico, ma come risultamenti di considerazioni comparative tra varie forme possibili di società economiche. (..) Dunque, decadenza effettiva del saggio medio di profitto nella società capitalistica moderna. Ma questa legge è più o meno attraversata da altri fatti, più o meno transitoriamente controperanti. Dunque, caduta soltanto t e n d e n z i a l e”. Dopo l’analisi matematica, il Croce rivede la legge tendenziale di Marx.
“Tale caso semplicissimo non ci dà, dunque, la legge di Marx, ma l’altra: ‘Il progresso tecnico, tutte le altre condizioni restando immutate, fa diminuire la m a s s a ( non il s a g g i o ) dei sopravalori e dei profitti’. (..) Il nerbo della dimostrazione del Marx è nella proposizione: che i lavoratori, che dovrebbero restare disoccupati, trovino invece impiego, ma con un capitale cresciuto di un tanto ( = 200 ) sul primitivo. E’ esatta questa proposizione ? In qual modo il Marx la giustifica ? A questa proposizione fondamentale si riferisce la mia obiezione, altrettanto fondamentale; la quale, se ammessa, viene a negare nel modo più radicale la verità della legge marxistica. Esprimo tuttavia il mio pensiero sotto forma di obiezione e di dubbio, perché, trattandosi di un pensatore del grado del Marx, bisogna procedere cauti, e ricordarsi ( come io non me ne scordo ) che parecchie volte errori a lui addebitati si sono chiariti equivoci degli avversari”. Con siffatta cautela metodologica sempre procede il Croce nella analisi e critica di alcuni concetti o categorie guida della filosofia politica ed economica del Marx: fino al punto da apparire quasi equidistante ( per dir così ) dalle tesi sia dei liberisti puri che dei fautori del socialismo “scientifico”, preludendo a momenti e aspetti del dibattito contemporaneo ( cfr. pp. 79-80 e sgg. con la pag. 93, Della conoscenza scientifica rispetto ai programmi sociali; e con il capitolo Dalla prassi alla ‘valorizzazione’ di Antonio Jannazzo, Croce e il comunismo, cit., pp. 37-62 ). “E’ diventato luogo comune, che il socialismo per opera del Marx sia passato da utopia a scienza, come dice il titolo di un libriccino popolare dell’Engels; ed è una denominazione corrente quella di socialismo scientifico. Il Labriola non nasconde la sua scrsa simpatia per consimile denominazione. D’altra parte, noi udiamo i seguaci di altri indirizzi, per esempio i liberisti estremi ( i quali cito di preferenza honoris causa, perché sono anch’essi tra gli ‘idealisti’ dei nostri tempi ), nello stesso nome della scienza, condannare il socialismo come ‘antiscientifico’, e affermare sola concezione scientifica quella del liberismo”. Poco sopra, in nota 1 della p. 80: “E’ curioso come anche negli studiosi della economia pura si faccia sentire questo bisogno di una diversa considerzione; il che li induce poi ad affermazioni contraddittorie o ad imbarazzi insuperabili” ( Pantaleoni, Principi di economia pura, Firenze 1889, “combatte il Bohm-Bawerk, domandando donde il mutuatario del capitale riesca a prendere di che pagare l’interesse”; Pareto 1894: “Ma, d’altra parte, vi è un’appropriazione del genere di quella che condanna Marx. Non è affatto dimostrato che questa appropriazione sia utile per ottenere il maximum edonistico. Ma è un problema difficile trovare il mezzo di evitare questa appropriazione” ).
Non è chi non veda qui, non solo le remote premesse della nota polemica Croce – Einaudi a proposito di religione della libertà e liberismo economico, ma altresì – in maniera insieme più profonda e sottile – della critica a Croce autocontraddittoriamente innalzata, come per un autore reputato “antimoderno” o “anomalo” liberale ( Cotroneo ), ma – al tempo stesso – fautore di un “Marx possibile”, dunque un Marx riletto sul versante dell’ Ideologia tedesca, o nel superamento del puro ‘liberismo economico’. In effetti, come per ogni “religione”, così per la crociana “religione della libertà” ( sulla cui pregevolezza ultimamente insiste Giuseppe Galasso, con Emma Giammattei ), potrebbe dirsi sussistano i corrispondenti “peccati”, o “reati”, di “lesa modalità”: in primo luogo, di totale deregulation del mercato; alla stessa “guisa” che ne esistono per il malinteso “Welfare”, come reato di “Indebitamento”, meglio “liceità di indebitamento”, della res publica. Chi ci apre la strada verso una revisione dei “nuovi modi” per la religione della libertà, è il chiaro filosofo triestino Carlo Antoni ( 1896-1959 ), segnatamente con Avanguardia della libertà ( Roma 1944 ) e Libertà indivisibile ( “Biblioteca della Libertà”, n. 2, Anno III, ma ggio-giugno 1966, pp. 13-28 ), dove oltrepassando i termini della discussione su liberalismo e liberismo intessuta da Croce ed Einaudi il teoreta pone in luce convergenze tra i due filosofi, alla ricerca di “un punto critico”, una “misura”, un “modo regolativo” che intenda evidenziare da un lato le basi “economiche” del liberalismo e dall’altro i presupposti filosofici ed empiristici del liberismo. “Siffatta riceca d’un equilibrio tra gli interessi della robusta iniziativa economica e gli interessi, che si dicono sociali, ma che in realtà sono etici, è il compito del liberalismo”, aveva già detto lo stesso Antoni nel 1944 nei ”Quaderni” liberali, chiarendo il problema fondamentale del mondo moderno. “Il pericolo sta altrove e cioè nelle coscienze. Sta anzitutto nell’arida mentalità geometrica, intellettualistica, che crede di assicurare la felicità agli uomini riducendoli ad automi dentro una universale macchina. E sta nella fuga dalla libertà, determinata oggi dalla paura, dal senso rassegnato d’impotenza davanti alla forza e al corso degli eventi, per cui ci si abbandona al Potere e si attendono da esso misure e provvidenze taumaturgiche” ( cfr. la mia disamina La libertà tra Antoni e Fromm, Seconda Parte di Tempo e Libertà. Teorie e sistema della costruttività umana ( Lacaita, Manduria-Roma 1984, pp. 90-121 ). Si vuol dire che il liberalismo più consapevole e avvertito, in sostanza, si è già da tempo mosso sulle tracce della “esigenza” di un “Marx possibile” ( se così piace esprimersi ), all’interno della ricerca di rapporti, mediazioni, modalità tra liberalismo etico-politico e liberismo economico, ponendo a fòco il problema del “Potere”, della universale macchina omologatrice, da varie parti incombente e in vario modo atteggiantesi sub specie ideologica, quale tuttora si spiega sotto i nostri occhi e le nostre menti. Questo, il punto.
In una nota sui “Quaderni della Critica” del 1945 ( fasc. II, p. 110 ), Croce scriveva di socialismo e liberalismo: “Ma se il socialismo non più sarà angustamente ristretto alla classe operaia, se esso correggerà o abbandonerà le teorie marxistiche, se si amplierà di nuovo a movimento umano e liberale o democratico che si dica, come era nelle sue origini, lis finita est, e socialismo e liberalismo confluiranno”. Lo stesso Einaudi, propiziatore del libero mercato, base per le libertà spirituali e intellettuali, nelle sue Prediche inutili non manca di evidenziare il compito etico-sociale del liberismo; e di proporre provvedimenti a carattere “progressivo” nella raccolta di Libertà economiche ( vol. I ): “Aumento delle tasse sulle successioni e sulle donazioni” ( 21 settembre 1920 ); “Avocazione allo Stato dei profitti di guerra” ( 22 settembre 1920 ); “Concessione di un’indennità caroviveri agli impiegati delle province e dei comuni” ( 17 marzo 1922 ); ed al vol. II: “Tasse e imposte dirette sugli affari” ( 21 dicembre 1945 ); “Avocazione allo stato dei profitti di guerra” ( 22-25 gennaio 1946 ); “Imposta straordinaria progressiva sulle spese di lusso” ( 16 febbraio 1946 ); “Contributo straordinario all’Acquedotto Pugliese” ( 30 marzo 1946 ); “Mezzogiorno d’Italia” ( 13 aprile 1946 ) e “Discorso di insediamento alla Banca d’Italia” ( dicembre 1944 e atti conseguenti ); fino agli interventi su “L’Italia e Bretton Woods” ( 14 marzo 1947 ) e “Sull’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio” ( 23 luglio 1947 ) nel III Volume ( edito da “Libro Aperto”, Ravenna 2016 ). Sia Croce che Einaudi sentono l’influenza e l’interesse delle posizioni dello svizzero Wilhelm Roepke, fautore della “terza via” e dell’economia sociale di mercato, nonché delle “radici cristiane” del liberalismo; pongono in luce i pregi e difetti del sistema di Welfare State, muovendosi alla ricerca di un “punto critico”, di un equilibrio fondato sulle “guise della prudenza”. Pur tra parziali incomprensioni, nel carteggio con Leone Cattani sulla “sinistra liberale”, Croce riconosce in fine 1951: “E se dovessi dire ciò che l’osservazione delle nostre cose prsenti, e anche della nostra Italia, suggerisce, direi che il numero delle decisioni di sinistra cioè di quelle che appoggiano riforme, sia di gran lunga superiore alle altre che fanno valere la necessità della conservazione” ( cfr. Sandro Setta, Benedetto Croce e la ‘sinistra’ liberale nel carteggio con Leone Cattani. 1947-1948, in “Storia contemporanea”, XIX/1, febbraio 1988, pp. 115-142 ). Lo stesso leader Giovanni Malagodi, Presidente del Partito Liberale e crocianamente contrario alla istituzione delle Regioni durante i successivi governi di centro-sinistra, rivendicava tuttavia a punto d’onore la posizione di “centro” per il liberalismo italiano ed europeo, respingendo nettamente a più riprese la ventilata unificazione con il partito-movimento “L’Uomo Qualunque” di Guglielmo Giannini; e ripubblicava per i tipi Ricciardi la raccolta di Croce-Einaudi, Liberismo e Liberalismo, nel 1988, con larghissime aperture di credito verso il “socialismo” in campo internazionale, di cui spassionatamente esaminava tutti i momenti e problemi di grave sfruttamento o disuguaglianza ( cfr., del Malagodi, i Quattro discorsi europei del 1975, Sansoni, Firenze 1976, il cui largo respiro è stato da me riproposto in Massa non massa. I discorsi europei di Giovanni Malagodi, Albatros, Libertates Libri, Milano 2011, con Croce nel mondo, Laterza, Bari 1999, p. 40 e Antonio Jannazzo, Il liberalismo italiano del Novecento: da Giolitti a Malagodi, Rubbettino 2003, pp. 97-135, a proposito dello “stare” – il Croce – “dalla parte dei deboli e degli oppressi”, confidato nei diari di Per invigilare me stesso ).
Il programma di ricerca sul “Marx possibile” ( ovviamente nella Wirkung, ossia “efficacia” pratica, ch’esso ritiene ) sembra, pertanto, per diversi aspetti e momenti, ‘onorato’ dalla storia del liberalismo italiano. Per cartina di tornasole, si provi allora ad interrogarsi su chi, altrimenti, lo avrebbe rispettato ( quel generoso progetto etico ed ermeneutico ) sul versante organicistico, o socialistico, o collettivistico che dir si voglia. E si vedrà agevolmente, come nel campo opposto degli schieramenti, si è restati lontani ben più delle proverbiali mille miglia dall’aver almeno preso in considerazione il nucleo di verità implicito nel momento etico del ‘socialismo liberale’. Certo, non vagheggiava un “Marx possibile” Palmiro Togliatti, all’epoca dell’ “Oro di Mosca”, e della conseguente espulsione da Partito dell’andriese Alfonso Leonetti ( “Feroci” ), di Pietro Tresso ( “Blasco” ) e Paolo Ravazzoli ( come dire, dell’alternativa ideologica, intellettuale, sindacale e organizzativa, rispetto allo stalinismo del 1930 ); poi, l’anno dopo, di Ignazio Silone ( 1931 ). Lo stesso Togliatti, che è merito di Luciano Canfora aver dimostrato essere tra coloro che consentirono l’arresto e la prigionia nel carcere di Turi di Antonio Gramsci, tra le altre e tante coincidenze nei contrattempi di Ruggero Grieco e sulla duplice relazione di Camilla Ravera e la testimonianza di Umberto Terracini ad Altiero Spinelli, nel carcere di Civitavecchia il 1935: “Non vedi come ti hanno messo da parte ? Non sai più come hanno trattato Gramsci ?” ( Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937, pp. 190-278 e passim, Salerno Editrice, Napoli 2012; Gramsci in carcere e il fascismo, ivi 2012 ), censurando altresì i “Quaderni del carcere”, proprio per i riferimenti ed il fascicolo dedicati alla lezione di Croce ( Luciano Canfora, Gramsci e il ‘taccuino scomparso’. Prove inoppugnabili, non ‘scoop’, “Corriere della Sera”, Terza Pagina, 11 febbraio 2013, p. 25; Gramsci, le etichette dicono che manca un quaderno, “Corriere della Sera”, 24 maggio 2013; in alternativa al Gramsci “fortemente radicato nella tradizione marxista” di Carmine Donzelli, Il moderno principe. Il partito e la lotta per l’egemonia. Quaderno 13, Donzelli, Roma 2012 e altra coeva pubblicistica su “Sole 24 Ore” e “Repubblica” ). Per integrazione, ricordo i miei Alfonso Leonetti nella storia del socialismo ( Sveva, Andria 1994 ) e Leonetti torna dalla Francia in Vico e Croce ( Laterza, Bari 2000 ), con le importanti Note su Gramsci dello stesso Leonetti ( Argalìa, Urbino 1970 ) e il lavoro storiografico di Salvatore Cingari ( Il giovane Croce. Una biografia etico-politica, Rubbettino 2000; Alle origini del pensiero ‘civile’ di Benedetto Croce. Modernismo e conservazione nei primi vent’anni dell’opera (1882-1902), Editoriale Scientifica, Napoli 2002 e Benedetto Croce e la crisi della civiltà europea, Tomo I-II, Rubbettino 2002 ), che è assente nel volume “Aracne” di “Riflessioni su Croce” da cui siam partiti ma onestamente mi dèdica ampio spazio di citazioni e condivisioni per il mio Croce inedito del 1984 e altri conseguenti studi.
Nel centenario della rivoluzione d’ Ottobre e per l’ottantesimo dalla morte di Antonio Gramsci, importante risulta, ai limiti della “riesumazione” di una svolta storica, la testimonianza dell’andriese Leonetti, il quale parla dell’incontro torinese con il Gramsci e dell’influsso di Benedetto Croce, fino a livelli insospettati sinora, nel libro Note su Gramsci ( Urbino 1970, al capitolo La lotta di Torino, che è poi il “ricordo” nel trentesimo della morte, tenuto il 1967 al Centro “Gobetti” di Torino ). “Egli ( i.e.: il Gramsci ) conosceva le mie debolezze e le mie preferenze; sapeva come il mio socialismo giovanile, formatosi alla scuola delle lotte contadine della mia Puglia natale, si alimentasse di sentimento e di fede e traesse la sua ispirazione da una letteratura piuttosto eclettica di natura positivistica, secondo la corrente allora in auge nel mondo socialista. Mentre lui, Gramsci, che, com’è noto, si era formato in lunghi, seri ed ordinati studi storici e scientifici, seguiva un’ispirazione crociana. (..) Sostanzialmente si trattava di porre in modo corretto il problema che ogni generazione deve risolvere: quello del rapporto tra sapere e azione, fra teoria e pratica, fra dottrina della lotta di classe e rivoluzione” ( p. 23 ). Quindi, il Leonetti prosegue: “ Non è per vanità se ricordo qui che la prima antologia italiana di Lenin fu da me curata, nel 1920, raccogliendo molti testi apparsi anche nell’ Ordine Nuovo. Lo stesso Benedetto Croce ne fu impressionato e ne fece nelle austere colonne della Critica una segnalazione in cui riconosceva la statura di Lenin politico”.
La scheda, apparsa primamente sulla “Critica”, a. XIX (1921, p. 304) e sfuggita a tanti anche autorevoli studiosi ed amici del rapporto di Croce al comunismo ( Jannazzo, Pellicani, Cingari ), apre uno spiraglio d’interesse storico e politico di notevole momento, potendosi anche leggere come nota XIX della sezione Schermaglie letterarie e filosofiche, in Pagine sparse. Volume secondo ( Ricciardi, Napoli 1943, p. 177; poi, in II, terza ed., pp. 226-227 ). Essa si colloca dopo la rivoluzione d’Ottobre e prima della storica scissione di Livorno del 1921: e, quasi, sembra che i fondatori del Partito Comunista d’Italia ( tra cui, appunto, Alfonso Leonetti ) abbiano mormorato tra loro: “Anche Benedetto Croce, maestro di antonio Gramsci, riconosce l’importanza storica del leninismo ! La riportiamo per intiero, nel suo proprio titolo “Pagine immortali”.
“Le ‘pagine belle’ del Lenin fanno parte di una ‘Collana di pagine immortali’, ma è difficile che rimangano vive per qualche tempo, e forse sono già morte. Il contenuto di esse consiste nelle note proposizioni del marxismo ( lotta di classe, dittatura del proletarito, abolizione dello Stato e simili ), ma rese schematiche e rigide, prive della freschezza, delle sfumature, dei sottintesi, che avevano nel Marx. E sebbene l’autore vanti la propria comprensione del marxismo, è certo che egli, nel senso critico della parola, lo comprende pochissimo, perché non è in grado di considerarlo nella storia dell’idealismo storicistico. Invettive condite di ‘stupido’, ‘vile’, ‘ipocrita’, ‘traditore’ e ‘rinnegato’ ( contro il Kautsky e i suoi seguaci ) tengoni il luogo della discussione. Siamo, dunque, allo stadio in cui una dottrina si è cangiata in fede, e ha perduto perciò ogni vigore di svolgimento e ogni interesse così pel pensatore come per lo studioso della storia delle idee. Ma ciò non vuol dire che non ne abbia acquistato uno grandissimo nella storia politica, ché anzi il pensiero, diventato fede, è principio di azione, il semplicismo aiuta alla persistenza nell’opera intrapresa, le immaginazioni inebriano gli animi e sorreggono gli ardimenti e le audacie. ‘Pagine immortali’, di quelle che si scrivono con la penna, Lenin non sembra ne abbia finora scritte; ma certamente ha scritto la sua grande e immortale pagina nella storia della Russia. Intorno al significato preciso di queste pagine, Futurum docebit; ma la sua importanza si può affermare sin da ora”. In nota (1) è citato testualmente il libro curato dall’andriese Alfonso Leonetti: “NICOLA LENIN, Pagine scelte, a cura di A. Leonetti ( Milano, Facchi, s.a., ma 1921 )”. Si tratta di un “giudizio prospettico”, o “giudizio di previsione” ( avrebbe poi detto Raffaello Franchini ), scaturiente dal “colpo d’occhio” della sagacia storica e politica ( Croce, Filosofia della pratica del 1908 ): tale da andare al di là del deprezzamento filosofico e letterario, ma da inprimersi nella volontà di “azione”, quando il “pensiero diventa fede” ( come spiega Croce ), e quindi diventa in grado di indirizzare, per la sua parte magari anche non voluta, gli eventi ( come intende e attua, poi, il Leonetti ).’Futurum docebit’. “Ma la sua importanza si può affermare sin da ora”.Si può dire che, agli occhi di Alfonso Leonetti, il giudizio prospettico di Benedetto Croce a proposito della statura poitica del Lenin abbia contribuito a “muovere la storia”, dal momento che, fatto proprio dai giovani marxisti, si traduceva in coefficiente dell’azione, come organizzazione nuova del movimento operaio e della forma- partito. Questi scritti crociani non furono immessi in Materialismo storico ed economia marxistica; ma vanno rintracciati nella miniera infinita delle Pagine sparse in varia edizione, come accade per Materialismo storico e storia concreta, ristampa in volume ricciardiano della importante Prefazione segnata dal Croce per la pubblicazione di Karl Marx, Rivoluzione e controrivoluzione o il 1848 in Germania, con una Postfazione in Appendice di Karl Kautsky ( Roma, Mongini, 1899 su invito pressante di Alessandro Schiavi e poi Milano, “Avanti !”, 1921, pp. 3-8 ). Ora, tale Prefazione la si legge nel Volume primo delle citate Pagine sparse ( Napoli 1943, pp. 314-319 ), ricca com’è di giudizi di prima mano sugli scritti storici del Marx, tutti pubblicati o a Londra (1851-1852 ) o a New York, in America, come quello sul XVIII BRUMAIO di Luigi Bonaparte, o postumi a cura della figlia Eleonora, sulle Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, solo successivamente introdotti dall’Engels e resi in italiano (1896). Da questa Prefazione crociana, conferma degli interessi marxiani del filosofo italiano all’altezza della Seconda Internazionale, apprendiamo altresì del progetto crociano di promuovere una pubblicazione dal titolo Carlo Marx e l’Italia, a principiare dalla lettera del Marx al direttore del giornale L’Alba di Firenze del maggio 1848, “relativa alla rivoluzione italiana”, lettera che fu unicamente ristampata dal Croce nella Critica sociale del 1° agosto 1897, a. VII, pp. 239-240 ( cfr. n. 1, a p. 319 delle Pagine sparse, nel primo volume 1943 )
La quistione della Libertà ( “Dire la verità è rivoluzionario”, amava ripetere il Leonetti ) torna in circuito dal primo all’ultimo periodo dell’uomo politico meridionale ed europeo, dal momento che, in opposizione alle fiere reprimende che negli anni Settanta del secolo scorso gli muovevano ancora Giorgio Amendola ( il “migliorista” figlio di Giovanni, né solo Pietro Longo o Tortorella ), lumeggiava l’errore di “filosofia della storia” consistente nella accettazione del “senso della storia”, ‘Il mondo va verso…’,perpetrato dai vecchi e nuovi togliattiani o stalinisti. “Il problema, Leonetti, non è più quello di vedere chi aveva torto o aveva ragione 45 anni or sono , o se aveva ragione Trotsky contro Stalin. La storia è andata nel senso voluto ( o interpretato ) da Stalin, ed in Italia da Togliatti o da Longo. Voi foste sconfitti allora e siete rimasti sconfitti” ( Giorgio Amendola, gennaio 1976, in La svolta del 1930 e il problema dello stalinismo, “Belfagor”, XXXII/1, 31 gennaio 1977, pp. 79-92 ). Dopo la mia Lettura di Benedetto Croce: ‘Il mondo va verso..’, sugli scudi nella “Rivista di studi crociani” del 1976 ( fasc. I, gennaio-marzo 1976, pp. 1-30 ), rivista che tirava duemila copie ed era nota per ogni dove, ‘crocianamente’ il vecchio Leonetti all’Amendola replicava: “lo stalinismo è soprattutto avvilimento e disprezzo dell’uomo.
E se la storia è andata, come tu dici con mio grande stupore, nel senso di Stalin, perché Stalin ha vinto i suoi antagonisti, non devi dimenticare che la storia è andata anche nel senso di Hitler e di Mussolini. Ma questi grandi ‘vincitori’ hanno fatto arretrare, non avanzare la storia. Ecco la verità. Vincitori ? Che rimane di Hitler, di Mussolini e anche di Stalin ? Tu lo sai: rimangono lacrime e ceneri. Se no: che senso ha parlare di destalinizzazione ?” ( ibidem ). “Laddove il problema non era e non resta quello di attendere il goal finale o la meta conclusiva di una vittoria reputata definitiva, secondo la dottrina pianificata e totalitaria della storia sopra denunziata ( e giusta la quale, certo, Stalin avrebbe vinto su Hitler ), bensì – al contrario – di capire ed accettare ( ciò che riesce ostico ad Amendola, egli stesso togliattiano e criptostalinista ) che è nel momento in cui sembra di volta in volta prevalere la concezione totalitaria della storia ( prescindendo dal suo speciale contenuto ideologico ), che vanno riaffermati i diritti della coscienza morale, cardine della libertà, del pluralismo e della democrazia” ( Giuseppe Brescia, La lotta politica meridionale e l’itinerario di Leonetti, in “Prospettive Settanta” diretta da Giuseppe Galasso, 3-4/1990, pp. 550-564 ).
Allargando conclusivamente lo sguardo delle “guise del Tempo e della Libertà” allo scenario globale, assai grave appare oggi la tutela della kantiana “dignità e bellezza della persona umana”, non solo per i nuovi compiti che gli accadimenti storici pongono alla “religione della libertà”, e all’attuazione dei suoi “nuovi modi” e “princìpi regolativi”; ma proprio per l’infittirsi di dure prove, e impegni di vigilanza, drammaticamente diffusivi. La dominazione bancaria, la presenza di fondamentalismi, la Gestellung tecnocratica, il disegno umano del ‘farsi Dio’, lo studio di forme sempre più raffinate di ‘Grande Fratello’ o varietà dis-topiche assai spesso coniugantesi tra loro comportano l’assunzione di responsabilità corrispondenti, con l’obbligo di puntuale denunzia cui il filosofo non può né deve sottrarsi. Per fermarci ad un solo e macroscopico esempio ( per quanto poco considerato e ancor meno citato, a livello di citazione di massa ), basti pensare a come si organizzi e si estenda – sotto i nostri “occhi” e dentro i nostri “scambi” commerciali – la “cyberdittatura made in Cina”, in grado oramai di controllare inquisire colpire e perseguitare milioni e milioni di cittadini, incrociando tutti i dati possibili e immaginabili ( fiscali, identitari, bancari, patrimoniali, culturali, scolastici, intellettuali, ideologici, familiari e persino marcati nel DNA, così immessi nella “rete” ), per rendersi conto di quali e quante battaglie dovrà ancora sostenere la ecclesia pressa della “religione della libertà” sul piano nazionale, europeo e planetario, ben oltre la pur generosa ricognizione e aspettazione di un disegnato “Marx possibile” ( cfr. Tianluo Diwang, Come ‘risolvono’ in Cina il problema del controllo dell’informazione. Cyberdittatura made in China, “libertates.com”, Albatros, 21 settembre 2017 ). Vanno, infine, ripubblicati gli articoli e le prefazioni di Croce a Marx del declinante diciannovesimo secolo, frutto di autentico dissodamento, malnoto o ricopiato impropriamente da altri su Marx e l’Italia, o Marx e il Risorgimento italiano, con una disavventura che sempre ci ricorda il pensiero leopardiano dello Zibaldone: “Pochi accendono i fuochi; molti vi si riscaldano intorno”.
Giuseppe Brescia – Libera Università ‘G.B. Vico’ di Andria
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