Andria: ecco il nuovo documentario sul sito archeologico di Santa Barbara (che rischia la scomparsa) – video con immagini aeree rivela manufatti antichissimi

Del sito di interesse archeologico di Murgia Santa Barbara – noto come “Monte Santa Barbara” e ubicato nelle vicinanze del sito di Monte Faraone, nel territorio di AndriaVideoAndria.com ne aveva già parlato nel 2011 in una puntata della serie di “Andria Antica” (girata da Nick Ferrara con il prof. Riccardo Suriano). All’epoca, l’obiettivo di quel primo documentario era finalizzato principalmente a sensibilizzare le istituzioni affinché queste potessero intraprendere le iniziative per tutelare un’area archeologica caratterizzata dalla presenza di resti di ceramiche di epoca arcaica dauna e persino di manufatti della fine dell’età del Bronzo. Si tratta, quindi, di evidenti prove di un insediamento preistorico e protostorico che abbraccia un arco di tempo che parte dal IX secolo a.C al V secolo a.C.. Qui sotto il link al nuovo web-documentario (arricchito da suggestive immagini aeree) e, più in basso, il resto della relazione:

Nelle vicinanze dei resti delle mura di quel villaggio antichissimo – secoli più antico di Castel del Monte – vi sono ancora oggi molteplici tumuli, testimonianza della presenza di un’altrettanto antica necropoli. Un sito archeologico noto dagli esperti da oltre un secolo: di Santa Barbara, l’archeologo Antonio Jatta (appartenente all’altrettanto nota famiglia ruvese che, grazie alle sue ricerche, consentì l’apertura del Museo Nazionale “Jatta” di Ruvo di Puglia) ne confermò l’importanza sulla pubblicazione “Sull’antichissima città di Ruvo nella Peucezia” diffusa nel lontano 1884) nonché nel capitolo Avanzi nella prima età del Ferro nelle Murge Baresi”del “Bullettino di Paletnolologia XXX“, pubblicato nel 1904. Successivamente –  ricorda l’ing. Riccardo Ruotolo – nei primi anni ’50, un “volo base” realizzò svariate fotografie per l’Istituto Geografico Militare: alcune di esse rivelano l’aspetto del sito di Monte Santa Barbara nel periodo post-bellico, oltre che del vicino sito di Monte Faraone (anch’esso di interesse archeologico) e parte dei resti del tracciato della via Traiana che collegava Beneventum (l’attuale Benevento) a Brundisium (ovvero Brindisi), costruita tra il 108 e il 110 d.C. per volontà dell’imperatore Traiano come alternativa alla via Appia e, a differenza di quest’ultima, più rivolta alla costa pugliese. A sua volta, la via Traiana (nota anche come via Appia Traiana, da non confondere, dunque, con l’Appia Antica) fu forse costruita sulla base della preesistente via Minucia, realizzata in età repubblicana per volontà del console Marco Minucio Rufo nel 110 a.C.. La via Minucia – anche oggetto di studio approfondito diffuso attraverso un’importante pubblicazione di Elisa Salvatore Laurelli percorreva già buona parte del tragitto della successiva via Traiana ma con un tracciato ubicato più nell’entroterra pugliese, attraversando anche le Murge.

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Più recentemente, oltre al primo documentario diffuso sul web da VideoAndria.com, alcuni anni prima – nel 2006 – si registravano conferme dell’importanza archeologica dell’area dalla Soprintendenza di Bari che sottolineava per iscritto l’esigenza di effettuare scavi in una zona “a confine tra le antiche regioni della Daunia e della Peucezia” (come ricordato nel libro “Escursione nel territorio“, pubblicato nel 2021 dall’ing. Riccardo Ruotolo). Murgia Santa Barbara gode anche di un primo approfondimento pubblicato su una rivista archeologica: si tratta dello studio dell’Ing. Alfredo Logoluso (noto anche per molteplici ricerche archeologiche nel vicino territorio di Bisceglie) il quale, nell’edizione XXXII del 2012 della rivista archeologica “Taras,” ha riportato i risultati di un’accurata analisi partita nel 2010, confermando la presenza di ben cinque distinti ordini di murgaglie per un totale di circa 7 chilometri, distribuite in un ordine sub-circolare o rotondeggiante. Un contesto che ricorda molto il sito archeologico di Cavallino, in provincia di Lecce. Sul lato interno e concavo del bastione meridionale (in depressione) – riporta Logoluso – si conservano i gradini delle scale litiche:

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All’interno dell’antico villaggio, poi, sono ancora oggi presenti i resti di tumuli: non solo di necropoli ma anche di quelli che sembrano appartenere ad antichissime strutture a “tholos” (trulli), adatte al ricovero degli abitanti. Anni prima del documentario pubblicato nel 2011 su VideoAndria.com, nel 1991, fu diffuso pubblicamente il documentario “Andria città Europea“: nel lavoro – girato in pellicola 16mm e diretto dal regista Riccardo Cannone – è possibile osservare lo stato di conservazione di una parte del sito archeologico vista dall’alto, attraverso suggestive immagini registrate su di un aereoplano con a bordo la troupe. Nel mese di settembre del 2023, il team di VideoAndria.com è tornato sul posto, girando nuove immagini – stavolta mediante un drone – per confrontarle con le immagini di circa 30 anni prima. Sebbene i resti degli antichi manufatti siano ancora presenti, gli stessi sono apparsi in uno stato di graduale danneggiamento legato all’evidente incuria. Le immagini da terra hanno confermato questa ricostruzione: parte delle cinte murarie risultano alquanto danneggiate. All’interno di esse è ancora possibile osservare grossi frammenti ceramici, forse risultato di un “riciclo creativo” dei progettisti dell’epoca. Decine i tumuli sepolcrali a base circolare, situati nell’area sud-orientale della necropoli. Tre i principali resti ceramici antichi individuati nell’area di Monte Santa Barbara:

Come ci ricorda Logoluso su Taras – vi sono la ceramica a grana grossa in terra argillosa non depurata – generalmente detta d’impasto – (suddivisa in manufatti realizzati con impasti di matrice grossolana e scheletro con abbondanti inclusioni inorganiche tipici dell’epoca protostorica ed arcaica; impasti a matrice semifine in uso tra del bronzo e prima età del ferro e impasti compatti a matrice semifine e semidepurata); vi è poi la ceramica in grana fine in argilla depurata detta acroma per l’assenza di decorazione dipinta – e realizzata con minerali (come ogra, grigia, rossa…) ed infine una ceramica a grana fine in argilla depurata con presenza di decorazione dipinta in tinte opache detta geometrica, quest’ultima presente sia in varietà monocrome che bicrome, in stile dauno, nonché geometrica iapigia o protodauna possibilmente anche peuceta in quantità marginali. Tali manufatti sono databili in un arco di tempo che parte all’incirca dal IX a.C. sino al V a.C.. e, oltre a testimoniare ulteriormente il notevole arco di tempo di antropizzazione dell’area, documenta l’eccezionale risultato dei numerosi scambi di merce (e quindi anche culturali) susseguitisi nei secoli, tra la parte finale della preistoria, la protostoria e l’epoca antica. A queste, si aggiungono anche macine e contromacine e persino manufatti in bronzo. Ne “La Puglia Preistorica“, Jatta confermò anche il ritrovamento di uno Sphagheion, un’olla dauna con ampio labbro ad imbuto: anche in questo caso, si tratta di ceramica policroma preellenica. Nell’area sud-orientale, tra la seconda e la terza cinta, è ancora oggi presente un megalite calcareo, evidentemente un tempo posto in posizione eretta come stele colonnare (“pietrafitta” o “menhir“):

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Un affioramento della falda acquifera sotterranea è ancora oggi osservabile in una grezza vasca litica scavata in un monolite calcareo, situata entro il tratto occidentale della quarta cinta muraria, nel versante ovest. Siamo a circa 5 chilometri dal Gurgo di Andria, dolina carsica frequentata dall’uomo almeno in periodi più recenti. L’acropoli fu abitata stabilmente per un periodo di circa 400-500 anni, per spopolarsi bruscamente, forse a causa di calamità o di invasioni di popoli lucani di stirpe sannitica. Fu solo nel periodo tardo antico-medievale che l’area tornò ad essere nuovamente frequentata dalle popolazioni locali, così come dimostrato dalla presenza di ruderi risalenti ad epoche più recenti. Secoli fa, il corso d’acqua sfociava nel letto di un fiume (oggi lama a Sud della città perduta) che giungeva nella zona di Masseria Monsignore: quest’ultima, sino ad alcuni anni fa, ancora ricca di reperti ma oggi stravolta dalle attività umane moderne. Qui, riporta l’ing. Ruotolo nel suo libro, nonostante gli stravolgimenti, erano state individuate ulteriori tombe a tumulo: una sessantina, databili in un periodo compreso tra il VIII ed il VI sec. a. C..

Purtroppo, molte delle altre importanti tracce archeologiche sono andate distrutte. Il rischio è che anche ciò che è sopravvissuto tra le antiche mura di Murgia Santa Barbara possa subire destino simile: questo importante sito archeologico rischia infatti la definitiva cancellazione a causa delle attività agricole e della mancanza di un concreto piano fisico di tutela. Nonostante le evidenze e le ormai numerose constatazioni, Murgia Santa Barbara potrebbe presto diventare solo un lontano ricordo, documentato soltanto dalle immagini immortalate da macchine fotografiche e telecamere. L’auspicio, invece, è che questa lunga serie di segnalazioni e studi preliminari possa rappresentare un primo punto di svolta per la creazione di un parco archeologico. Per questo motivo, nel mese di novembre del 2023, la sezione andriese dell’associazione Italia Nostra ha organizzato un incontro pubblico per sensibilizzare ulteriormente l’opinione pubblica e le istituzioni del territorio. (N. Ferrara).

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