Prima Barletta, poi Bisceglie. Non sono “episodi” ma fenomeni di degrado culturale e sociale. A mancare non è semplicemente il contesto familiare, ma anche quello dei genitori responsabili

Nemmeno il tempo di asciugarsi le lacrmine per il tremendo fatto di cronaca che ha scosso la città di Barletta e l’intera provincia BAT che, nello stesso territorio, un’aggressione sanguinaria si è nuovamente verificata nell’ambito della movida del fine settimana. Stavolta, l’aggressione si è verificata nella vicina Bisceglie dove un giovane di 26 anni è stato gravemente ferito a seguito di un accoltellamento. Un ulteriore fatto che riporta tristemente ed ancora una volta la sesta provincia sulle pagine di cronaca nazionali. Fortunatamente, in quest’ultimo caso, le operazioni di soccorso si sono rivelate efficaci e il ragazzo è stato così tratto in salvo. Tuttavia, il fatto torna inevitabilmente a far discutere su una realtà sembra oramai superare il concetto di singolo episodio, raggiungendo invece il traguardo drammatico di un vero e proprio fenomeno di degrado sociale e culturale che si manifesta prepotentemente in maniera ciclica:

non ci riferiamo soltanto alle aggressioni a mano armata, ma anche ai singoli modi di fare di chi, frequentando locali notturni, assume tipicamente atteggiamenti aggressivi nei confronti del prossimo, maltrattandolo a volte anche con semplici occhiatacce ed in altre con veri e propri scontri fisici. Ci chiediamo: quante altre aggressioni – probabilmente finite in maniera meno grave – si sono verificate nel nostro territorio e che forse, non state denunciate? E’ chiaro che non occorre fare dell’erba tutta un fascio ed è probabilmente riduttivo e semplicistico puntare sempre e solo contro gli amministratori locali. Troppo facile, inoltre, prendersela anche con chi esercita pubblici esercizi che di certo non promuovono la violenza ma piuttosto il piacere di godersi il fine settimana con gli amici. Dove individuare, dunque, le cause di questo fenomeno? L’impressione è che a rappresentare un problema ed un pericolo costante non sia “l’ambientazione” delle aggressioni ma piuttosto, il modo di fare di alcuni:

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Mentre sappiamo benissimo che l’atteggiamento aggressivo, oggigiorno, è individuabile in taluni soggetti persino al supermercato o durante la guida negli orari diurni, tra i giovanissimi gli episodi violenti potrebbero essere benissimo basati su contesti familiari difficili, dove i genitori si preoccupano in troppi casi di questioni superficiali: “il vestirsi bene”, il volersi mostrare, apparire, diventare “il più bravo e fregare gli altri”, gettandosi a più non posso in un contesto di concorrenza costante ai danni del prossimo, rappresentano evidentemente concetti antagonisti ai valori umani, solidali e culturali che invece hanno caratterizzato la nostra società in buona parte della vita quotidiana del passato. Si tratta, dunque, di effetti collaterali basati su un preoccupante peggioramento del quadro sociale che parte dall’ottica familiare che potrebbe ripercuotersi anche nell’ambito professionale (una volta adulti, qualora occupati, in che modo lavoreranno questi giovani violenti e con che atteggiamenti si esporranno davanti agli altri concittadini?). In troppi casi, in una famiglia non viene a mancare la figura del genitore, ma, piuttosto, del genitore responsabile, rendendo così fertile sia l’insorgenza di atteggiamenti privi di regole tra i giovanissimi che la compromissione del loro stato psicologico. Già a seguito della tragedia di Barletta, l’Ordine degli Psicologi di Puglia aveva così commentato quel terribile fatto di cronaca:

“Siamo dinanzi ad un altro episodio che si aggiunge alla lunga striscia di cronache nazionali e locali che ci parla di vite spezzate per futili motivi. Ci sono dinamiche preoccupanti che ci parlano di sociopatia relazionale, incapacità di riconoscere la propria identità ed il contesto nel quale questa agisce. Chi impone con la propria azione omicida la fine dell’esistenza dell’altro è un soggetto con gravi carenze strutturali, non riconosce capacità di interazione ma si abbandona all’atto violento per imporre il proprio io. Siamo in una società liquida e le relazioni liquide hanno reso tutti più soli ed isolati, in una sorta di “delirio narcisistico dell’Io” mortificando i sentimenti di appartenenza e di comunità. Non siamo in un gioco e non ci sono altre vite per ripetere il livello, siamo responsabili di parole e azioni che compiamo, nei confronti di noi stessi e dell’altro. L’omicidio di Claudio pone una riflessione sull’imbarbarimento che dilaga nelle dinamiche relazionali dei giovani e giovanissimi delle nostre comunità”. Il presidente dell’Ordine invitava così tutti a riflettere sul “senso delle relazioni”:

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“Ripensare ai processi di formazione del personale che si occupa di famiglia, infanzia e adolescenza. Garantire sin dalla scuola dell’infanzia percorsi di educazione alla relazione e alla socio affettività, recuperare il senso del noi, costruire processi democratici in cui la squadra sia l’elemento basico. Così come lo è stata la famiglia: una squadra per garantire appartenenza, identità, sicurezza e benessere. Occorre presidiare i territori con luoghi di aggregazione giovanile, centri di ascolto e di sostegno alle famiglie e adolescenti ed ai soggetti deboli e fragili ed intercettare ad horas il disagio. Occorre dotarsi di servizi che rendano servizi alla collettività evitando duplicazioni e spreco di risorse pubbliche. Educare allo stare insieme, al rispetto, al valore della alterità, a fronte dello scherno della diversità e delle forme di bullismo, a volte anche da parte dei rappresentanti delle istituzioni, nei confronti dei soggetti fragili. Puntare sulla prevenzione e sulla testimonianza è un obbligo. La giustizia farà il suo corso con chi ha sbagliato ma le istituzioni intervengano subito per progettare la riqualificazione sociale della comunità, nelle scuole, nelle famiglie, nei luoghi frequentati dai nostri ragazzi” – concludevano gli Psicologi di Puglia. Dopo la responsabilità dei singoli nuclei familiari, quindi, si aggiunge anche quella degli amministratori: non solo politici, ma anche educatori. C’è qualcosa che è venuto a mancare in alcuni dei nostri istituti scolastici? Non spetta a me a dirlo, ma forse bisognerebbe fare il punto della situazione e chiedersi se un insegnante è sempre pronto a segnalare un caso di degrado sociale – riuscendo così a contrastarlo celermente – o se invece è lo stesso a sentirsi in difficoltà davanti a tante problematiche che ruotano attorno agli studenti e alle loro frequentazioni. Diversamente, la figura dell’educatore si limiterebbe esclusivamente a quelle due-cinque ore di lavoro che potrebbero non permettere a tutti i giovani di essere salvati in tempo da contesti difficili. Davanti a queste evidenze, voglio concludere questa riflessione limitandomi a riportare le dichiarazioni del Sindaco di Bisceglie:

Quello che è successo la scorsa notte, con l’accoltellamento di un ragazzo in un locale della nostra Città, è di una gravità inaudita per l’accaduto in sé e perché capita a pochissimi giorni dall’omicidio di Claudio Lasala. Tutta questa violenza è assurda ed inaccettabile. È inammissibile che anziché andare in un locale per divertirsi e stare insieme si rischi di incorrere in risse, scontri o sopraffazione violenta. Siamo di fronte ad un problema sociale molto complesso, serio e diffuso che dobbiamo arginare a tutti i livelli con ulteriore intensità: istituzioni, famiglie, scuola, associazioni, più di quanto si stia già facendo. Il Covid ha aumentato il disagio sociale e le fragilità. Stiamo vivendo un momento particolarmente delicato che richiede ulteriori sforzi per stare accanto ai nostri giovani sin dalla tenera età, combattere l’emarginazione sociale, l’isolamento, il disagio minorile, prevenendo devianze. Ho sentito il Prefetto della Bat Maurizio Valiante, il quale ha già dato disponibilità ad un incontro per valutare e coordinare ulteriori misure da mettere in campo. Auguro al giovane ferito una pronta guarigione e auspico che le forze dell’ordine possano fare piena luce sull’accaduto per individuare i responsabili”.

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