Archetipi di Leonardo da Giuseppe Brescia

A cinquecento anni dalla morte, diverse città e istituzioni hanno reso omaggio al genio da Vinci. Per la storia delle idee, Charles Baudelaire, intorno al 1857, nei “Fiori del male”, “Spleen et Idéal”, lo esalta tra “I Fari”, “Les Phares”, “segnacolo di luce su mille cittadelle”, e che viene ad annegare “au borde de votre éternité”, “miglior testimonianza di dignità”, agli occhi del Signore. “Léonard de Vinci, miroir profond et sombre, / où des anges charmants, avec un doux souris / tout chargé de mystère, apparaissent à l’ombre / des glaciers et des pins qui ferment leur pays”. E cioè: “Leonardo da Vinci, specchio scuro e profondo, / dove con un ( dolce ) sorriso d’alto mistero appaiono / angioli ad incantarci, soavi, entro lo sfondo / d’un ombroso paese di pini e di ghiacciai” ( integro la versione di Gesualdo Bufalino ). Nel sorriso, infatti, è la “sintesi di Leonardo, dei suoi lunghi e faticosi studi sperimentali, quegli studi scientifici apparentemente indipendenti dall’attività artistica e che invece trovano nella sua pittura il momento culminante. Ne è espressione di gioia, un sentimento umano transitorio; è piuttosto espressione della serena tranquillità di chi domina con la ragione” ( Piero Adorno ). Nel sorriso è anche il “mistero” di Leonardo, che riprende il senso del naturalismo rinascimentale, il trapassare dallo stato solido a uno stato liquido allo stato gassoso, il trascolorare delle esperienze e delle percezioni, compendiato nel celebre sorriso della Monna Lisa, di cui si conoscono due versioni ( 1503-1505 e 1513-1515 ). Il sorriso è anche nella “Sant’Anna, la Madonna e il bambino con agnello” del 1510; nella “Dama con l’ermellino”, ritratto per Cecilia Gallerani (1488-1490); nel Ritratto di Bona Sforza, noto come “La Bella Principessa”, del 1490 circa ; ancor prima, nella “Vergine delle Rocce” ( ossia, ‘Madonna con San Girolamo, il Bambino e un Angelo’ ), del 1483; e nel “San Girolamo”, terracotta attribuita a Leonardo da Edoardo Villata, proprio per il sorriso e la “organicità della posa”. “Si coglie sul volto del Santo filosofo un sorriso appena accennato che denota il compiaciuto raggiungimento della conoscenza delle verità eterne e che affiora nell’intensità della concentrazione e dell’espressione” ( Marco Bona Castellotti ). Negli stessi anni, Jeronimus Bosch dipinge “Le tentazioni di Sant’Antonio” (1510), con preminenza dei dèmoni tentatori sulla scena, consentendo di comporre i due paradigmi a confronto ( “Il dèmone di Bosch e il sorriso di Leonardo”, nel mio volume “I conti con il male”, Laterza, Bari 2015, Parte terza, pp. 366-377 ).

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Ma prima ancora il sorriso era nelle opere del maestro di Leonardo, Andrea del Verrocchio ( 1435-1488 ), il cui “David” sorride per la propria “virtus”, la sua libera ponderazione nella scena, tale che “nessuna cornice potrebbe contenerlo” ( a differenza di quanto accade per il “David” di Donatello ), e il notevole “Putto col delfino”. Avevamo avuto il “Ritratto d’uomo”, o “Sorriso dell’Ignoto marinaio”, di Antonello da Messina, custodito nel Museo di Cefalù, ed il “Ritratto di Beato Angelico” (vissuto tra il 1396 e il 1453 ), effigiato da Luca Signorelli ( 1499-1504 ), il cui “sorriso” è detto “della compassione” da Giorgio Vasari, nelle “Vite”, del 1568 ( vol. II, p. 519 ); fino al “Sorriso della Dama”, nel “Ritratto” di Desiderio da Settignano, custodito a Firenze nel Museo Nazionale del Bargello. Leonardo si colloca al vertice e nella sintesi piena delle inflessioni estetiche del ‘sorriso’, come il culmine della “scienza universale” e della raggiunta consapevolezza di averne attinto la cifra globale, il nesso cosmico tra le varie forme di natura organica e vivente e tra natura e spirito. Il ”sorriso” – dirà poi Giambattista Vico curiosamente – è “lo sternuto della intelligenza”; contrassegnando la sfera dell’appagamento nella comprensione, il dominio pieno della ragione, la conoscenza di quelle verità eterne e archetipali, che sono rintracciate dalla psicologia analitica di Jung e – oggi – dalla ricerca della “Scienza universale” di Fritjof Capra ( ed. it. Milano 2017, pp. 43 e 239-245 ), l’autore de “Il Tao della Fisica”, ove si colgono mille affinità e analogie tra taoismo e fisica quantistica, filosofo che ringrazio per aver corrisposto con la mia ‘interpretazione’. Nella Gioconda in specie, scrive il Capra, “il paesaggio non è solo un retroscena lontano, ma diventa proptagonista, ed è non meno significativo della figura femminile in primo piano. Le formazioni geologiche sono raffigurate in perenne metamorfosi, le acque primordiali fendono le rocce, modellano le valli, depositano i macigni, la ghiaia e la sabbia che alla fine diventeranno suolo fertile. Quello che vediamo nella Gioconda è il nascere della Terra vivente dalle acque degli oceani primigeni”.

Giuseppe Brescia – Società di Storia Patria – Andria

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