Di “crociera”, intersezione e biforcazione ( il termine è anche desunto dal Koestler de “L’atto della creazione”: e nell’un senso e nell’altro. Leopardi, erudito della “sapienza popolare degli antichi” e della “Storia dell’astronomia”, eredita la memoria prodigiosa della “sapienza dei secoli” ( attinta anche alla Biblioteca paterna ) e la rivisita alla luce delle nuove dottrine sensistiche e illuministiche: serbando però, sempre, l’incantamento del cielo che è stato còlto efficacemente nel recente film di Mario Martone, “Il giovane favoloso”. D’altro canto, il Leopardi, poeta metafisico dei “Canti” e dei Grandi Idilli, dall’ “Infinito”, al “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” sino alla “Ginestra”, libera – nello spettacolo cosmico – il senso del celeste come “risorsa”, nutrimento d’infinito, a cospetto del natìo borgo selvaggio ( Recanati ), delle gelosie e incomprensioni di letterati ( Gabinetto Vieusseux a Firenze ), del fomidabil sterminator Vesèvo ( Napoli, Torre del Greco ). Procedo, di necessità, per rapida sintesi, resultando impossibile ri-narrare tutti i luoghi, i tempi e modi, le mirabili e variegate inflessioni che il “senso del celeste” acquista nel pensiero poetante di Giacomo Leopardi ( cfr., tra l’altro, i molti studi di Attlio Momigliano, Luigi Russo, Michele dell’Aquila o Luigi Blasucci sul gran tema ).
“De-siderare” ( dal latine: ‘Sidus, sideris”: avvertire da distanza e bisogno insieme, delle stelle. Questo è l’etimo del “desiderio”, su cui si è espressa via via una ermeneutica infinita, in sede psicologica, filosofica, mito-poetica o antropologica. E l’etimo potrebbe essere anche un “archetipo” di stampo junghiano per stabilire un segnacolo di pace tra uomini di differenti tradizioni religiose, in virtù di quel Dio che a tutti è Giove, come cantava Torquato Tasso.
Piace concludere il presente contributo riportando l’ispirazione di “Amore e morte”: “Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte / ingenerò la sorte. / Cose quaggiù sì belle / altre il mondo non ha, non han le stelle”. Dove notava l’ottimo commento di Domenico Consoli ai “Canti” ( SEI, Torino 1967, pp. 334 sgg. ), correggendo un poco l’ultimo Croce, così inteso ad avvalorare la categoria fondante della “vitalità”, e dunque “l’amore dell’uomo e della donna, l’amore sensuale e sessuale, l’amore-passione, dolce e tremendo, forza elementare della natura” ( “poesia antica e moderna”, Bari 1943, pp. 373-378), in vece, come “il verso guadagna gli spazi del cielo, tocca le stelle e ne ricava un senso di letizia misuratissima”.
Giuseppe Brescia – Libera Università “G.B.Vico” di Andria
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