“Genio” e “perspicacia”, a proposito di Christopher Nolan, di Giuseppe Brescia

Christopher Nolan“Filosofia e nuovi sentieri”: “genio” e “perspicacia”, giusta la rappresentazione di Denis Diderot. “Mi rappresento il vasto recinto delle idee”. Nessuno aveva colto, neanche in sede internazionale ( che io sappia ), la inerenza della ermeneutica filosofica di Giordano Bruno, e delle sue prosecuzioni sino alla fisica quantistica, all’astrofisica e alla epistemologia di Maurits C. Escher, a proposito di “Interstellar” di Christopher Nolan. Che ci possa poi esser anche l’influsso del poeta americano Ralph Waldo Emerson 1840 ( la “self-reliance”, la “spontaneità”, la percezione di sé come “genio” ) ? Nella “infinità” della interpretazione, non è da escludersi. “Scusate, qualche testo”, disse Eco una volta in una sua “bustina di Minerva”. Verremmo, così, al rischio di eccedenza di riferimenti e allegazioni, presente a volte nella complessa ermeneutica filosofica, frutto di lungo studio e grande amore. Forse, e senza forse, come spesso accade agli Autori, lo stesso Nolan è colto da stupore per tanta mole di fonti, vere o presunte, individuate nei paraggi di “Interstellar”.

“Ci sono più cose tra cielo e terra di quante ne contempli la filosofia” ( o: la “loro” filosofia, postillava l’Amleto, Raffaello Franchini ). Pure, dato e non concesso tutto ciò, chi può dire quanto Dante o della “Oratio de dignitate hominis” di Pico della Mirandola o del panteismo di Giordano Bruno, non sia parlante in Emerson o Walt Whitman ? Si ri-tocca, allora, la “Biblioteca celeste” di “Interstellar”, la biblioteca-parete e confine, ma anche la biblioteca-risorsa e comunicazione. Anche la rivista “LaMalaParte”, prima di Emerson, cita il fisico Kip Thorne; e, in un passo parallelo, il “Lago di Resia”, il cui antico campanile continua ad affiorare tra i ghiacci, oltre il “diluvio” provocato dagli uomin, che unificarono i tre laghi per sfruttare una centrale idroelettrica nel Trentino: pezzo di Mondo 3 – epistemologicamente – per Karl Popper; eternità dell’umano, per il nostro umanesimo storicistico. ‘Ironicamente’, nella sefirah “Din” ( propriamente “La Parte Buona”) de “Il genio”, dedicata a Emerson ( 1803-1882) da Harold Bloom: “La fiducia in se stessi non è una dottrina consolante, perché ci esorta a ricadere sul nostro genio oppure a cadere verso l’esterno e verso il basso. (..) L’unica cosa nel mondo dei valori è l’anima attiva. Agendo così l’anima è genio”. “Qui è racchiuso il primo principio del genio emersoniano: gli scintillii che contempliamo nella letteratura sono già nostri anche se li abbiamo allontanati”.

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Giuseppe Brescia
Preside Prof. Giuseppe Brescia

“Emerson celebra la novità, l’afflusso dell’energia, il ‘daimon’ che sa come ha luogo tale influsso”: “Parlate piuttosto di ciò che dà fiducia in quanto opera ed esiste”. E, assai notevolmente: “La classe di persone più attraente è composta di coloro che sono potenti indirettamente e non in maniera diretta; di uomini di genio, non ancora riconosciuti; noi riceviamo la grazia della loro luce, senza pagare una tassa troppo grande” ( ed. BUR, Saggi, Milano 2004, pp. 395 sgg. I riferimenti sono ai saggi di “Guida della vita” e al “Discorso alla facoltà di teologia” ). E nella “Introduzione – Che cos’ è il genio?”, il critico americano raccorda gli “Uomini rappresentativi” di Emerson al libro del padre di Benjamin Disraeli, Isaac, la cui famiglia era di origini centesi, emigrata a Londra, “The Literary Characters of Men of Genius”, che segnava una volta per tutte: “Devono nascere molti uomini di genio prima che possa apparire un particolare uomo di genio” ( op. cit., p.26 ). Ecco derivarne, allora, la intuizione folgorante di Eugenio Montale, il “nostro” poeta della Giovinezza: “Occorrono troppe vite per farne u n a”, da riferirsi non già a rivisitazione di dottrine evoluzionistiche o darwiniane, per quanto attiene la legge della selezione naturale della specie ( Montale era vicino, in quegli anni, a Bergson e al contingentismno di Boutroux ); bensì alla memoria infinita della “sapienza dei secoli”, alla nuova sintesi di esperienze intellettuali e vitali, frutto alla lor volta di tante altre sintesi, che esprime “una” originalità geniale ( cfr. il mio “Tempo e Idee”, con prefazione di Franco Bosio, Albatros, Milano 2014 ). Ecco anche perché il calco pentadimensionale e tridimensionale della epistemologia dell’ultimo Escher, così attento alla cosmologia, è puntuale e calzante. Siamo forse andati un poco oltre l’impianto e l’intento filmico di “Interstellar”: fra altre “stelle” polari e ideali, ancora. Ma qui ci ha condotto il dibattito “Da Bruno a Escher”, a proposito della Biblioteca celeste di ‘Interstellar’. Certo che che rimane la “fiducia in se stessi”, l’orgoglio per “dove ci ha portati il cervello umano”, come programmaticamente affermano gli scienziati della NASA sia nel film che altrove.

Ma tutto ciò, pur non essendo noi astronomi o fisici di professione, kantianamente impegna la categoria della “simultaneità”, come la “maggior conseguenza del tempo” ( Kant, 1781 ), onde provammo a ripensare la formula classica di Galilei: x’ = x – vt”, tradotta al quadrato nelle trasformazioni di Lorentz, poi riprese dall‘Einstein, sostituendo a “v”, “v1 – vr”, cioè la “differenza tra la velocità osservata e quella del sistema di riferimento a cui si commisura l’osservatore” ( cfr. A. Einstein, “La relatività. Esposizione divulgativa”, del 1916, trad. it., Roma 1970, § 8; Ernst Cassirer, “Sostanza e funzione. Sulla teoria della relatività di Einstein”, del 1920, Trad. it., Firenze 1973, pp. 457-616; con il mio volume “Tempo e Libertà. Teorie e sistema della costruttività umana”, Piero Lacaita, Manduria-Roma 1984, pp. 341-361). Ma questo costituisce altro e ben più ampio discorso, cui il racconto scientifico e simbolico di “Interstellar” ha offerto occasione, e che non sappiamo per certo se gli attuali scienziati del tempo e dell’universo possano ancora trovare di un qualche interesse, a proposito del paradigma “pentadimensionale”.

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Giuseppe Brescia – Libera Università “G.B.Vico” – Andria

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