Ma la “risposta al male” non può “eccedere”, a sua volta, in altro male: questo è un punto decisivo, da “filosofia della storia”,che l’ autore ha già trattato storicamente ne Il sogno di Castorp e il progetto di Pico ( G. Laterza, Bari 2003 ) e qui, ne I conti con il male, ritorna nel capitolo su Pico della Mirandola, Conclusiones nongentae e le “tappe di incubazione del male”.
Nelle sue Ipotesi su Pico (Bari 2011 ) e nella tesi circa le cadenze virtualmente “cabalistiche” del male nella storia, Brescia ammonisce che al 1792, anno della battaglia di Valmy ( “I°giorno di una nuova storia del mondo”, come disse Goethe ), inizio del trionfo giacobino, non si può rispondere – per es.- con il 1872, anno del cosiddetto Kulturkampf, battaglia culturale contro i cattolici di Guglielmo di Prussia; insomma, con una politica di “volontà di potenza”, e pangermanesimo, di segno opposto. L’autore ritiene che le altre tappe di incubazione del male nella storia, a partire dal 1480 ( data della presentazione dell’opera di Pico ), siano riconoscibili nei supplizi di Michele Serveto ( 1552 ), di Bruno e Campanella ( 1592), Galileo stesso (1632), e -sempre con carattere “figurale”- nel passaggio di Isaac Newton dalla Teoria dei colori al Trattato sull’Apocalisse ( 1672 ), nel fondamento dello Stato prussiano ( 1712: con il passaggio da Federico I Hohenzollern a Federico Guglielmo I) e suo consolidamento ( 1752: mantenendo Federico II Re di Prussia la Slesia contro le illusioni del Re di Francia che “si batté per il Re di Prussia ); a seguire nel 1832 ( profetica denuncia di Antonio Rosmini con Le cinque piaghe della Chiesa ), via via fino al 1944, “1984” e “1994”, altrettante cadenze di date epocali. Il carattere preparatorio o incoativo del male è mostrato per ciascuna delle tappe, e confermato emblematicamente nell’ultima (“1994”), data che secondo Pico avrebbe dovuto contrasegnare la “fine dei tempi” ( circostanza che, non essendosi verificata, ne dimostrerebbe l’aspetto “virtuale” di preannuncio e solerte vigilanza ). Continue sono le trasmigrazioni di idee, operanti nelle interpretazioni di autori affini o anche apparentemente distanti, in una serie di “percorsi”, di cui recuperiamo, come mappatura essenziale, nella Prima parte: La Loica nei Tarocchi detti del Mantegna, in Croce; Corpo e anima in Nicola Malebranche; il sottile recupero di Pascal in Voltaire e nel poema sul Disastro di Lisbona; Pierre Bayle e la critica dei Manichei; “Tutto è male” nello Zibaldone di Giacomo Leopardi; Schelling e la fenomenologia del male; il passaggio dal saggio di Immanuel Kant sulla “Religione entro i limiti della semplice ragione” alla “filosofia positiva” dello stesso Schelling; La affinità tra filosofia del mito e del monumento nello Schelling e in Ugo Foscolo; Dante in Foscolo e Schelling e l’estetica del paesaggio da Schelling all’Assunto; Apuleio che trascorre in Foscolo; i ricorsi della “religione della libertà dagli idealisti a Edgar Quinet a Croce; Nietzsche e la “astuzia del male; Nietzsche e le “mosche del mercato” e il conseguente “ritiro” dell’anima in “Così parlò Zaratustra”; Croce per Schopenhauer e De Sanctis con Leopardi, per le tematiche della “volontà di vivere” e della “vitalità”; Heidegger e Antoni; Martha Nussbaum e Hannah Arendt; Vasily Grossman e “Il Bene sia con voi” sino a Gustaw Herling.
Nella Seconda parte, denominata “Lotta contro i demoni”, segnalo: John Milton e l’orgoglio di Satana, “uomo eguale a Dio”; Christopher Marlowe, Wolfgang Goethe e la versione faustiana del primo versetto del Vangelo di San Giovanni; Thomas Mann in sé e persino in James Joyce; Joseph Conrad e il “Cuore di tenebra” fino ad “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola; Tolstoj e Dostoevskj, tra analogie e differenze; la “doppiezza” del male; “Una tragedia americana” di Theodor Dreyser; “L’urlo e il furore” di John Steibeck con la risposta della “umana pietà”; Orwell e Huxley; Franz Kafka e Anthony Burgess, fino alla tarda rivisitazione di “Arancia meccanica”; il percorso da Gustave Flaubert ad Albert Camus; “La tentazione di Sant’Antonio” da Hieronymus Bosch a Pieter Bruegel il Vecchio a Flaubert; Jean Paul Sartre e Albert Camus; David Herbert Lawrence e William Golding, con il suo Belzebù, “Il Signore delle mosche”; Eugenio Montale, coniatore de “Il male di vivere”, e Antonio Debenedetti, suo “derivatore”; la poesia del “Purgatorio” di Dante in Momigliano e Bassani; Gobetti e Bassani; Italo Calvino e le “Città invisibili”, con tutte le implicazioni a proposito si “Andria”, da Pascal fino all’ Einstein e la Azione a distanza.
Al di sotto di ogni percorso, si va ancora in profondità: quasi si ha la impressione che il Brescia voglia sfidare i limiti del raffrontabile e del conoscibile, rischiando a volte la densità. Ma alla base di ogni sondaggio e lavoro di scavo, c’è pur sempre la doppia “cifra” dei “modi categoriali”, sentimento – memoria – tempo, e successione – simultaneità – permanenza, che rimane la “cifra” su cui il filosofo si è formato, dai tempi degli studi sul “vitale” e sulle modalità del “passaggio tra le forme” negli studi giovanili su Croce. Tale complessa stratificazione di piani conferisce alla ricerca del Brescia ( come vedevano Padre Manno e Dario Fertilio, Addante o Vizzini ) tratti di genialità.
Per ciò, nella Parte terza, “Limiti alla bestia”, si affrontano in intensità le perle: la importanza della parola come “ristoro dai mali” e “retto giudizio” nella “Teogonia” di Esiodo; il “bilanciamento dei mali” in Esiodo; il travaglio degli uomini di fronte alla magnanimità degli dèi in Sofocle; Tucidide e la “modernità”; Polibio e la funzione della “Fortuna”; Apuleio, il “Demone di Socrate” e la relativa eco sino a Beniamin Constant; Gioacchino da Fiore in Dante e sino a Karol Woytila; Pico della Mirandola e la virtuale “fine dei tempi”; Shakespeare e la catarsi tragica dei capolavori; Giordano Bruno e la dialettica, fino a Jean Starobinski; Kant e le risorse della “ragione liquida”; Luigi Pareyson e la “Ontologia della libertà”; Luigi Sturzo e la “Teodicea”; il dotto Sergio Quinzio e la rilettura di Luca 18, nella parabola “La vedovella e il giudice iniquo”; la “salvezza dell’anima” negli aforismi filosofici, come nel raffronto tra l’ungherese Arthur Koestler e l’eretico “rosso” Alfonso Leonetti, a sua volta influenzato da Leone Trotsky; ancora, il “Purgatorio” di Dante vissuto nel carcere francese di Vernet dal Koestler e “Mario”, cioè Leo Valiani; il rapporto tra Orwell e Koestler, il diretto o indiretto “maestro”; Italo Mancini e la “filosofia della prassi”, come rappresentazione della “crisi del diritto” nella stagione della tarda modernità; l’ “imperatore del male” e gli studi sul cancro nella epistemologia della scienza medica; il recupero del vitale nel pensiero poetante e nella dottrina etica, da Antonio rosmini a Vincenzo Terenzio; il “demone di Bosch e il sorriso di Leonardo”; vitalità e tempo in Charles Baudelaire; e l’ inferno parigino negli occhi della ragazza “fulva” di Honoré de Balzac; e tanti altri “momenti” di rappresenrtazione del male, ancora. Su tutto domina, alla fine, il principio di “attività” spirituale, in cui si compendia la “libertà”: il male ‘vince’, in definitiva, quando in noi ‘vincono’ l’accidia, l’inerzia, il non essere più o il non essere ancora, ossia quei riferimenti negativi che, in sede logica o gnoseologica, è appunto il “giudizio”, chiamato a risolvere e dissolvere storicamewnte, ogni volta in modo “nuovo”. Ben per questo, La libertà è “eterna vigilanza”, ammoniva Karl Popper. Ma, alle fonti, per la salvaguardia della “persona” umana, resta sempre il Vangelo: “State svegli e vigilate!” Michele Indellicato
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