Ora Kant, per cui persiste la dottrina cristiana del “peccato originale” e l’antitesi tra il “principio buono” e il “principio cattivo” nella natura umana, in questo luogo direttamente o indirettamente allude ad Aristotele, Cicerone e ai moralisti francesi del Seicento, segnatamente al La Rochefoucauld del frammento sulla cosiddetta “gioia del male”, non a caso testualmente riferito con le virgolette interne: “Nelle disgrazie dei nostri migliori amici c’è qualcosa che non ci dispiace del tutto”.
Ma i commentatori non risalgono alle fonti e non delucidano il complesso contesto. Lucrezio nel “De rerum natura” aveva dipinto lo spettacolo del naufrago cui assistiamo – beati – a volte dalla riva ( “Suave mari magno”..). La Rochefoucauld spiega questa disposizione scoprendo che noi sentendoci esenti dal male sopportato dagli amici possiamo poi esternargli conforto, e dunque metter in risalto la nostra benevolenza ! Magmatica disposizione del manzoniano “guazzabuglio del cuore umano” ! Croce, nei “Frammenti di Etica”, in “Etica e politica”, dedica un paragrafo al gran tema. In fondo, ha ragione il filosofo triestino Carlo Antoni, quando definisce il Seicento la “grande stagione intermedia, etnografica e psicologica, tra Umanesimo e Storicismo”: stagione di cui appunto il La Rochefoucauld ( con La Bruyere e Vauvenargues, ma anche con gli andriesi Ettore Tesorieri e Torquato Accetto, ed il bolognese Malvezzi ) è gran testimone ( cfr. i miei “Questioni dello storicismo”. I-II, Galatina 1980-81; “Tempo e Libertà!, Manduria 1984 e il progetto de “I conti con il male. Ontologia e gnoseologia del male”). Ma qui si vuole porre l’accento sul paragrafo IV. “L’origine del male nella natura umana”, dello stesso saggio kantiano ( saggio che costò, tra l’altro, gravi rischi di reprimende e censure al filosofo di Koenigsberg ). Ed è il punto in cui si dice: “”Essa può essere considerata o come origine razionale o come origine temporale.
Nel primo significato si considera semplicemente l’esistere dell’effetto; nel secondo l’accadere dell’effetto, il quale perciò, in quanto evento, viene riferito alla sua causa nel tempo” ( op. cit., 117). Ma dire: “l’esistere dell’effetto” equivale a rispondere, teoreticamente, alla domanda: “Che cosa è una cosa?” ( l”essenzialismo’ superato, appunto, dallo Schelling; e poi sapientemente criticato nella modernità da Popper e dalla scuola austriaca di economia, Von Mises e von Hayek in testa ). E dire invece: “l’accadere dell’effetto” ( dunque il riferirsi alla “sua causa nel tempo”, che va inteso – diceva Rosario Assunto – come “temporaneità” non “temporalità” ) significa rispondere alla domanda: “Come si attua una cosa?” Dunque, il grande Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, quando nel 1809 scrive le “Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti ad essa connessi”, oltre che al mistico Baader risale a Kant (cfr., tra l’altro, l’edizione Strummiello, Bompiani 1996, p. 173 ).
Giuseppe Brescia – Libera Università ‘G. B.Vico’ – Andria
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